Tra Marx e Benjamin

Roma. I dirigenti più in sintonia con Fausto Bertinotti vogliono due cose: sistema elettorale proporzionale su modello tedesco e il partito unico della sinistra sul modello della Linke. E vogliono fare in fretta. L’8 e il 9 dicembre si tengono gli stati generali della Sinistra, il giorno prima Bertinotti officierà un incontro dal titolo: “Tra Marx e Benjamin”, ovvero socialismo e liberalismo, ovvero Sinistra e alleanza con i riformisti del PD.
La spallata berlusconiana all’indirizzo della Cdl e la sua conseguente svolta proporzionalista ha infatti delineato un non più fantomatico asse Berlusconi-Veltroni-Bertinotti plasticamente riassunto ieri in un editoriale di Andrea Colombo su Liberazione. Per non ricordare lo spontaneo e prorompente: “Berlusconi è l’alfa e l’omega della Seconda Repubblica” con il quale il presidente della Camera ha lodato il Cav. È se è pur vero che la legge elettorale divide il Prc dai propri alleati (Pdci e Verdi) è altrettanto vero che i rifondaroli più convinti del processo unitario sono anche quelli che più assecondano la riforma proporzionale. Il ragionamento è più o meno questo: “I Comunisti italiani e i Verdi frenano sull’unità perché non vogliono perdere i loro connotati specifici, lo sbarramento al 5 per cento li forzerebbe all’idea di un partito unico della sinistra”. D’altra parte mezza Linke è già fatta: la solidità dell’alleanza del Prc con Fabio Mussi è (per mancanza d’alternative di quest’ultimo) fuori discussione, il movimento nato dall’ex correntone Ds “è allo sbando – dicono alcuni senatori – siamo legati mani e piedi a Bertinotti perché la Cgil ci sta scaricando”. Sistema tedesco, dunque, e partito-unico a seguire. Infatti la riforma tedesca permetterebbe a Bertinotti di presentare come “inevitabile e automatico”, ai più riottosi tra i suoi tesserati, lo scioglimento del Prc. L’obiettivo è una forza che “rappresenti un’affidabile sinistra di governo”. Così, in attesa che gli incontri Berlusconi-Veltroni-Bertinotti producano qualcosa, è imperativo che Prodi tenga botta. Significativo che martedì notte il Prc abbia abbandonato il tavolo delle trattative sul welfare per far immediatamente marcia indietro e siglare la pace ieri pomeriggio. E infatti gli annali ricorderanno lo strappo, chiesto ufficiosamente dalla Fiom di Gianni Rinaldini, e la ricucitura avvenuta, dopo qualche tensione interna, per esplicito intervento di Bertinotti. La mediazione ha prodotto un rinvio del problema – la questione del tetto dei lavori usuranti sarà acclusa in una legge delega – e la riapertura, ieri sera, di un altro fronte: il limite dei 35 mesi ai contratti a termine.
Il documento congressuale
A via del Policlinico da giorni si discute il documento che identificherà la maggioranza al prossimo congresso. L’ipotesi di scioglimento del partito in una formazione meno ideologica è un tabù impronunciabile, ma è anche l’aspirazione inconfessata dei più fedeli bertinottiani. Solo il sottosegretario Alfonso Gianni ne ha fatto accenno per essere travolto dai fischi della base e dalle pacche sulle spalle (ma circospette) dei dirigenti. Il clima è talmente teso che domenica prossima a Firenze è prevista una manifestazione (a cui parteciperanno più di mille iscritti) per dire che “falce e martello non si toccano”. Tuttavia Gianni è il più “bertinottiano dei bertinottiani”. E infatti è proprio al comandante in capo di Rifondazione che in molti attribuiscono la patente di “grande acceleratore” verso il partito unico. Tanto che dal terzo piano di Montecitorio sarebbe arrivata l’indicazione, recepita, d’enfatizzare nel documento congressuale i riferimenti programmatici al “soggetto unico e plurale della sinistra”. Annacquato nella prima versione, adesso il riferimento è diventato il fulcro di un ragionamento popolare tra i dirigenti. Tra i bertinottiani puri solo Paolo Ferrero e Giovanni Russo Spena appartengono al partito di “quelli che frenano” (ma lo negano), mentre il partito dell’accelerazione ha conquistato uomini defilati, ma di peso, come il senatore Milziade Caprili.