Tra il generale e gli islamisti

Il giorno che abbiamo inaugurato il Social Forum Mondiale a Karachi, in Pakistan, con discorsi e virtuosismi di musica sufi, i governanti di questo paese celebravano il centenario della Lega Musulmana [il partito che ha creato il Pakistan separandolo dall’India, e da allora è passato dalle mani di una manica di canaglie all’altra fino a oggi, che è in mano a magnaccia politici che lo gestiscono come un bordello]: e l’hanno celebrato regalando il partito al generale Parvez Musharraf, il presidente in uniforme. «Tu sei il nostro leader e custode del partito», sbavava un leccapiedi, mentre i suoi colleghi annuivano sorridenti, grattandosi i coglioni con una mano mentre con l’altra si tastavano i fasci di banconote nelle tasche. I dirigenti dell’opposizione laica, gli ex presidenti Nawaz Sharif e Benazir Bhutto,una volta in competizione tra loro su chi riusciva ad ammassare più ricchezze mentre era al potere, sono entrambi in esilio. Tornare vorrebbe dire per loro un arresto per corruzione, e nessuno dei due è ha l’animo per il martirio o per cedere il controllo delle rispettive organizzazioni. Nel frattempo i partiti religiosi stanno allegramente applicando politiche neo-liberali nella Frontiera di Nord-ovest, la provincia dove governano. Incapaci di rispondere ai veri bisogni della popolazione più povera, concentrano il loro fuoco sulle donne e sui liberali senzadio che le difendono. I militari sono così saldi nel loro potere in Pakistan, e i politici ufficiali così inutili, che la «società civile» è in pieno boom. Canali tv privati sono proliferati, come le organizzazioni non governative (Ong), e possono permettersi di tutto (io sono stato intervistato per un’ora sulle «sorti delmovimento comunista mondiale»), salvo che attaccare la religione, i militari e le reti con cui governano il paese. Se la società civile organizzata ponesse una minaccia reale all’élite politica, gli applausi diverrebbero in breve minacce. Così, non sorprende che anche il Social Forum Mondiale sia stato permesso e facilitato dalle autorità di Karachi. E’ parte di un panorama globale e aiuta governanti retrogradi a sentirsi moderni. L’evento in sé non è stato diverso dagli altri. Parecchie migliaia di persone, soprattutto dal Pakistan con spruzzate di delegati da India, Bangladesh, Sri Lanka, Corea del Sud e un po’ di altri paesi. Mancava qualunque delegazione dei crescenti movimenti contadini e operai della Cina o della sua intellighenzia critica. Anche l’Iran era sottorappresentato, e così la Malaysia. Gli autorità israeliane che gestiscono l’amministrazione giordana hanno angariato la delegazione palestinese; solo un piccolo gruppo di delegati è riuscito a passare i checkpoint e raggiungere Karachi. Il devastante terremoto dell’autunno scorso in Pakistan ha mandato a monte il progetto degli organizzatori di viaggiare per il continente e sollecitare altre partecipazioni. Altrimenti, insistono, le voci di Abu Ghraib, Guantanamo e Falluja si sarebbero fatte sentire. Il fatto in sé che il Social Forum Mondiale si sia tenuto in Pakistan è positivo. Qui non c’è l’abitudine a sentire diverse voci e punti di vista. Il Forum ha permesso agli strati sociali più oppressi e alle minoranze religiose di riunirsi e far sentire le loro voci: i cristiani perseguitati nel Punjab, gli hindu del Sind, le donne di ovunque hanno potuto raccontare storie terribili di discriminazione e oppressione. C’era anche un consistente elemento di lotta di classe: contadini in lotta contro la privatizzazione delle tenute militari a Okara, i pescatori del Sind il cui reddito vitale è minacciato, i quali denunciano che l’acqua del grande fiume Indo viene deviata deprivando la povera gente, lavoratori dal Baluchistan che denunciano le brutalità dei militari nella loro provincia. Ancora, insegnanti che hanno spiegato come il sistema educativo nel paese ha virtualmente cessato di esistere. Persone comuni hanno parlato in modo articolato, analitico e arrabbiato, in contrasto abissale con la stantia retorica della classe politica pakistana. Quello che dicevano è stato trasmesso per radio e tv dai maggiori canali privati – Geo, Hum e Indus – in concorrenza tra loro per garantire una copertura a tappeto dell’evento. Così ilWsf, come un grande spettacolo itinerante delle buone intenzioni, è arrivato in Pakistan e oggi riparte. Cosa lascerà? Molto poco, a parte lo spirito positivo e la soddisfazione per essere riusciti a farlo qui. Perché poi resta che qui la politica è dominata da una élite, e poco altro importa. Piccoli gruppi radicali fanno del loro meglio, ma non esiste organizzazione o movimento che a livello nazionale parli a nome degli sfruttati. La situazione sociale è cupa, nonostante le statistiche «cucinate » diffuse dal primo ministro pakistano della Banca Mondiale Shaukat Aziz. Le Ong non sono un sostituto a veri movimenti politici e sociali. Ci possono essere Ong in Pakistan, ma su scala globale sono «Oog», organizzazioni occidentali governative, il cui flusso di cassa è condizionato dalle agende. A volte fanno un egregio lavoro, ma l’effetto generale è stato atomizzare i sottili strati di intellettuali liberali e di sinistra. La gran parte di queste donne e uomini (se non sono nelle Ong sono embedded nei mass media) si danno da fare perché la loro Ong continui ad avere finanziamenti; piccole rivalità assumono proporzioni esagerate; la politica nel senso di organizzazioni di base è pressoché inesistente. Il modello latinoamericano come è emerso dalle vittorie di Chavez e di Morales è assai lontano da Karachi.