Il mercato del lavoro italiano è sempre più precario, al punto che ormai, tra i nuovi assunti, uno su due ha una occupazione a termine. La conferma arriva dall’Isfol, che ieri a Roma ha presentato i risultati di una indagine realizzata in collaborazione con il ministero del Lavoro e condotta con una rilevazione campionaria su 22 mila imprese «rappresentative delle società di persone e di capitali attive nei settori privati extragricoli».
Dalla ricerca emerge con chiarezza che il lavoro a tempo indeterminato, pur continuando ad essere di gran lunga il tipo di contratto più applicato nelle imprese private – con una quota che raggiunge l’86,4% – sta tuttavia cedendo il passo di fronte alla prepotente avanzata degli occupati con contratto a termine, arrivata al 13,6%. Il ricorso a contratti precari, sottolinea l’Isfol, diminuisce all’aumentare della dimensione di impresa: la quota di lavoratori a scadenza è del 23% nelle imprese con meno di 10 addetti e del 7,3% in quelle con oltre 250.
La forma contrattuale di lavoro “non standard” preferita dalle piccole e medie imprese è il contratto di formazione e lavoro, utilizzato da quasi 20 aziende su 100. Segue il contratto a tempo determinato, utilizzato dall’11% delle imprese e maggiormente diffuso tra le grandi aziende; il contratto di apprendistato, utilizzato dal 10% delle imprese nel complesso e dal 33% di quelle che impiegano tra 50 e 250 addetti; e, in ultimo, il contratto di inserimento, il quale mostra, al momento, un’apprezzabile incidenza di utilizzo solo tra le grandi aziende (26%).
Da questi dati si capisce che il rischio che una intera generazione cresca con il ricatto della precarietà è più che concreto. Ieri i ministri Giovanna Melandri (Politiche Giovanili) e Cesare Damiano (Lavoro) hanno ammesso che «il diritto dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze a costruirsi un futuro sereno passa anche e soprattutto dai segnali che saremo in grado di lanciare e dalle iniziative concrete che il Governo saprà prendere nella direzione di una stabilizzazione del posto di lavoro».
Per il momento, l’unica alternativa alla precarietà sembra essere la disoccupazione. Ieri la Corte dei Conti ha stabilito infatti che gli enti pubblici che nel 2005 hanno superato i limiti di bilancio imposti dal patto di stabilità non possono operare nuove assunzioni e rinnovare i contratti in scadenza ai lavoratori interinali.