Torture secondo il Pentagono

Detenuti tenuti a pane e acqua; rinchiusi in celle tanto piccole da non poter stare né in piedi né straiati; detenuti minacciati con i cani; denudati, immersi nell’acqua e poi interrogati in stanze raffreddate dall’aria condizionata o semplicemente all’aperto se la temperatura è sufficientemente bassa (almeno uno di loro è morto): sono le ormai famose «tecniche di interrogatorio» adottate dai carcerieri americani in Iraq, Afghanistan e ovviamente a Guantanamo, ma la differenza in questo caso (un rapporto del Pentagono reso noto venerdì) è che quelle cose accadevano dopo che lo scandalo di Abu Ghraib era già esploso e il generale Ricardo Sanchez, allora comandante delle operazioni in Iraq, aveva diramato una direttiva in cui veniva proibito l’uso di quelle tecniche perché gli avvocati del Pentagono lo avevano avvertito che erano troppo dure.
Da quello che si capisce (non molto perché il rapporto, completato 20 mesi fa, è stato reso pubblico solo ora dopo la solita battaglia dei gruppi per la difesa dei diritti umani e pesantemente censurato) quella direttiva di Sanchez raggiunse le unità militari «normali» ma non quelle delle «forze speciali», cui apparentemente questo rapporto è dedicato. Ma la cosa suona a dir poco monca, visto che i gruppi menzionati sono le non famosissime quinta e decima unità dell’esercito, mentre mancano per esempio la Delta Force, le SEAL della marina e la «Task Force 6-26», delle quali a suo tempo sono stati raccontati i fasti.
Il rapporto – preparato da un generale di nome Richard Formica – dice che i gruppi speciali hanno adottato almeno cinque delle dodici tecniche che la direttiva del generale Sanchez aveva escluso, ma subito dopo aggiunge che il loro non fu un atto di «disobbedienza» dell’ordine di Sanchez: fu semplicemente un malinteso.
Loro, i torturatori, non sono personalmente responsabili di ciò che hanno fatto, dice il generale, perché non hanno ricevuto «delle istruzioni adeguate». Sono stati cioè i loro superiori a «non capire bene» la direttiva di Sanchez e a dare loro gli ordini sbagliati. Da qui il generale Formica trae la conclusione che nessuno debba essere incriminato, anche perché lui ha fatto ler sue brave ricerche scientifiche ed ha scoperto cose molto interessanti. Una è che la mancanza di proteine dovuta al trattamento a pane e acqua diventa pericolosa per l’organismo solo se si protrae oltre i 17 giorni, e dalla sua indagine risulta che quel limite non è mai stato superato; un’altra scoperta è che la morte di uno dei detenuti trattato a «acqua e freddo» non è stata necessariamente dovuta al trattamento subito perché – scientificamente parlando – il rapporto di causa-effetto fra le due cose non è stato stabilito al di là di ogni ragiobevole dubbio. Una terza scoperta è stata che – sempre scientificamente parlando – il confinamento in una cella in cui non si può stare né in piedi né distesi «per due giorni è ragionevole, dai cinque ai sette giorni no», dice il generale, e dalla sua indagine è risultato che «soltanto in due casi» si è arrivati a sette giorni.
Lo scrupoloso generale si è anche occupato delle specifiche denuncie ricevute. Una, presentata dei familiari di un un detenuto ad Abu Ghraib, diceva che il loro congiunto era stato brutalizzato e anche violentato con un bottiglia. Il generale ha indagato a fondo e poi ha concluso che non sono state trovate prove del fatto. In compenso è stato accertato che quella famiglia era ben nota per «simpatizzare con gli insurgents».
Quella parzialmente pubblicata venerdì è l’ultima di 12 grandi inchieste ancora da rendere pubbliche che concentra la propria attenzione sulle accuse di abusi a detenuti da parte di personale americano a Guantanamo, in Afghanistan e in Iraq, e la prima a esaminare l’azione di truppe speciali. In due casi denunciati, le indagini erano ancora in corso quando il generale Formica completò il proprio rapportonel novembre del 2004. Un portavoce del Pentagono ha dichiarato venerdì che anche quelle indagini sono state completate ma si è rifiutato di renderne note le conclusioni.