Torino film festival, politica o immaginari?

Walter Veltroni è raggiante, come il suo «corrispettivo», il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, e Mercedes Bresso, presidente della regione Piemonte, tutti unanimi (e senza rivalità) nell’affermare che «una figura di fama internazionale come Nanni Moretti può aiutare a far crescere il festival del cinema di Torino anche nel quadro competititivo che si è aperto in Italia, nel settore cinematografico, con la manifestazione organizzata a Roma». Felice pure il regista torinese Mimmo Calopresti, scoperta del festival, che proprio Nanni Moretti fece debuttare nel lungometraggio con La seconda volta: «Nanni Moretti corona un piccolo sogno. Quel festival lo ha sempre amato, sono sicuro che farà di Torino un grande cinema Sacher». Soddisfatti anche Alberto Barbera, direttore del Museo del cinema di Torino e principale artefice della nomina di Moretti, e Stefano Della Casa, presidente della Film commission Piemonte: la «ricetta» Moretti ha funzionato subito, e quell’esposizione mediatica modello festa-del-cinema-romana tanto agognata da entrambi l’hanno, almeno ieri, conquistata anche loro. Ma è davvero questo, e non il cinema, la qualità, il divertimento, la costruzione di immaginari e di modelli culturali non omogenei e imprevedibili, le sale piene la sola cosa che conta? Faceva un po’ impressione leggere nei servizi sulla nomina di Moretti, a firma anche di critici esigenti, una generale esultanza sul fatto che finalmente il festival torinese potrà essere come Roma, fare soldi, diventare macchina promozionale per industrie varie, turismo in testa, collezionare passerelle di stelle (un improvviso attacco di nostalgia per le settimane Incom del Luce?). Usando inoltre al meglio la Film commission per produrre tanto cinema italiano di quello «che va». Dove poi visti gli esiti in sala e sui mercati internazionali non è dato saperlo. Basti pensare ai «big» della festa romana, Tornatore, Virzì, Andò (e giustamente) non hanno fatto molta strada. Finalmente però – come ha dichiarato lo stesso Della Casa – non ci saranno più i film di Tonino De Bernardi, uno dei nostri cineasti indipendenti più invitati nel mondo, il festival di Rotterdam lo ha come ospite fisso, strano perché poi Barbera è tra i festival che cita come riferimento, e lui quando era a Venezia a dirigere la Mostra lo ha invitato in gara (con Appassionate). Ma i tempi cambiano dice la canzone. La cosa assurda è che tutte le persone coivolte, Della Casa, Barbera, Turigliatto, Rondolino, D’Agnolo Vallan il festival se lo sono inventato insieme, lo hanno fatto forte negli anni di complicità e amicizia, proprio grazie alla diversità dei loro sguardi. L’unicità infatti è un poco debolezza, e forse l’idea suggerita da Calopresti che Torino diventi un cinema Sacher non è proprio così eccitante.
Resta dunque da risolvere la frattura con Gianni Rondolino. Le istituzioni torinese sperano di ricomporre: «È assurdo pensare a due manifestazioni cinematografiche in città» ha detto Chiamparino. Già perché il presidente dell’Associazione cinema giovani, che per 24 anni ha organizzato il Torino film festival e ne detiene il marchio, non si arrende. Ed è deciso a fare il «suo» festival anche senza i due milioni e mezzo di euro di regione, provincia, comune. Potrebbe essere una bella scommessa, e un esperimento forte (le date 24 novembre-2 dicembre sarebbero le stesse). Pure se nella stessa Associazione si aprono le prime crepe. Giovanni Zanetti, che ne è parte, suggeriva ieri una mediazione. Spingendosi oltre: «A Torino ci sono troppi festival, ce ne vorrebbe uno aperto alle diverse problematiche, gay, donne, ambiente». Ecco che il terribile spettro del Festival dell’Adriatico (lì a essere coinvolto fu Marco Bellocchio) torna. Se lo inventò Veltroni, fu un fiasco clamoroso.
Resta comunque il fatto che nonostante la maggioranza della stampa abbia sorvolato, Nanni Moretti non è, almeno per ora, il direttore Torino film festival. Non si tratta di cavilli o di staff – quello morettiano verrà annunciato a gennaio, si parla di Emanuela Martini e, prevediamo, Paolo Manera, tra i 5 usciti dall’Associazione cinema giovani. Il problema è legale, il marchio, appunto, e gli accordi presi sull’edizione 2007 che non possono essere scissi così, pure se la politica può arrogarsene il diritto.
Moretti da parte sua, promettere un festival «serio e allegro», dice che vuole potenziare la presenza del cinema italiano ma su tutto il resto tace.