Maledice i colpevoli. «Non dormirete più sonni tranquilli. Bastardi. Avete il cuore di pietra e il portafoglio pieno. Avete rovinato tante famiglie. Tutto il mondo deve sapere il male che avete fatto». Chiama per nome i morti – «Bruno, Antonio, Roberto, Angelo» – perché ci pensino loro «da lassù» a ottenere giustizia. La voce di Nino Santino, padre di Bruno, la vittima più giovane della strage alla ThyssenKrupp, ha accompagnato il corteo a Torino nel giorno del lutto, dello sciopero e della rabbia.
I fischi ai sindacalisti saranno analizzati, interpretati (per 0 verso giusto, si spera) e metabolizzati. Le uova e le pietre lanciate dai centri sociali contro l’Unione industriali già oggi saranno archiviate come un episodio a margine, visto centinaia di volte. Ma la voce di quel padre resterà impressa nei 30 mila che dietro di lui hanno attraversato la città. In un silenzio rotto dalle grida che si alzavano dalla testa del corteo, dai lavoratori e dai pensionati della ThyssenKrupp. «Assassini». «Prima la sicurezza, non dopo». «Giustizia». «Vediamo di non insabbiare tutto anche questa volta». Lo slogan «Pagherete caro, pagherete tutto», riesumato da una stagione che franava verso la sconfitta, si è trasformato strada facendo in un meno cupo «Dovete pagare per tutto questo male». Che lega insieme la perentoria richiesta che i colpevoli «non escano immacolati» (parole dal palco di Antonio Boccuzzi, sopravvissuto al rogo sulla linea 5) e l’enormità del male inferto a chi lavora nelle acciaierie, nei cantieri, sulla strada, alla catena di montaggio.
«Il mandante è il profitto», mormora un pensionato in piazza Castello, mentre fischi e invettive coprono le parole dei sindacalisti che prendono la parola dal palco (dove non c’era la fascia tricolore del sindaco Chiamparino). La folla ascolta in silenzio solo Boccuzzi; il «sopravvissuto» accusa la ThyssenKrupp d’aver lasciato «andare al collasso» lo stabilimento torinese, invita a non dare la colpa ai lavoratori e ai sindacati. L’ultimo invito non fa presa. E sono fischi indifferenziati per tutti i sindacalisti. Ne fa le spese il segretario nazionale della Fiom Gianni Rinaldini, che interviene anche a nome di Firn e Uilm. «Basta parole, servono i fatti». «Buffoni». «Venduti». «State seduti dietro le scrivanie». «Andate a lavorare». Commento a caldo di Giorgio Cremaschi, della segreteria Fiom: «Questi fischi ci fanno bene. Il sindacato non ha una responsabilità diretta in questa strage e e nei troppi omicidi bianchi.
Ma condizioni di lavoro insopportabili e salari troppo bassi che espongono ai ricatti sono conseguenze di quindici anni di concertazione fatta anche dal sindacato. Detto questo, nessuno che non sia un lavoratore venga a farci la lezione». Giorgio Airaudo, segretario della Fiom di Torino, definisce «legittima e comprensibile» la contestazione. «Però il sindacato è qui, in piazza e in sciopero, a discutere anche dei suoi limiti con i lavoratori». Lavoratori ricattabili hanno sindacati deboli e viceversa. Questo il pensiero di Airaudo che sollecita gli organi d’informazione a non «spegnere le luci» tra qualche giorno sulla strage alla ThyssenKrupp e sulla «condizione operaia».
Airaudo e i lavoratori della Thyssen confermano che nell’acciaieria ormai in disarmo e sguarnita di personale si lavorara a più non posso perché a Terni c’era stato un guasto e l’azienda aveva «girato» a Torino una commessa. «Quella era la mia squadra», racconta un operaio che ha lasciato la ThyssenKrupp un mese fa. «Forza correre, correre, ci dicevano, e il nastro partiva con ancora la gente sopra. Ti facevano la multa se pisciavi contro il muro e non ricaricavano neppure gli estintori. Sono dei delinquenti».
Ciro Argentini, delegato della Fiom, non vuole neppure perdere tempo a commentare le note autoassolutorie diramate dalla ThyssenKrupp. «Non hanno etica aziendale, ammesso che esista. E non hanno etica umana». Lui preferisce parlare di «operai, operai, operai». Stam-patevela bene in mente questa parola, dice ai cronisti, «continuiamo a esistere». Anche le fabbriche continuano a esistere, prosegue un pensionato Fiat, «ma i politici compresi quelli di sinistra se ne ricordano solo in campagna elettorale. Una visitina e via».
Il torinese don Luigi Ciotti non sa dire se la città è davvero scossa nel profondo dalla strage alla Thyssen. Ammette che persino le nostre parole sono «stanche». Non dobbiamo comunque smettere di pretendere «verità, giustizia, dignità». Secondo il segretario della Fillea del Piemonte la «risposta solidale» è venuta anche da ambienti distanti dal sindacato e dalla tute blu. Ma, è una nostra impressione, è una solidarietà che sembra esaurirsi nella raccolta di fondi per le famiglie delle vittime.
Già alla partenza del corteo, in piazza Arbarello, trasparivano considerazioni critiche o amare sul sindacato, preludio dei fischi successivi. «Adesso sventolano tante bandiere, farebbero meglio a pensarci prima, a prevenire», dice un’impiegata dell’Agenzia delle entrate. «Gli operai esistono solo quando fischiano o quando muoiono», constata Daniele Brabuto, della Embraco di Chieri. Pur essendo delegato (o proprio perché lo è), dà ragione a chi «si lamenta» del sindacato che non può o non vuole farsi valere. «Abbiamo paura e abbiamo perso potere, le nuove leve di lavoratori sono state tirate su a ricatti».
Al corteo c’erano ministri (Turco, Ferrerò e Damiano), politici (il segretario di Rifondazione Giordano) e il presidente della Camera Fausto Bertinotti. «Bisogna rispettare il dolore della gente e il miglior modo per farlo sono il silenzio e l’ascolto», ha risposto Bertinotti a chi gli chiedeva un commento sulla contestazione ai sindacati. Una cosa comunque l’ha detta: servono sindacati forti per arginare lo scandalo delle vite spezzate dal lavoro.
«Basta!!!», c’era scritto sullo striscione dei metalmeccanici torinesi.