Call center, operatori, tecnici, tutti insieme a Roma, Milano e Napoli a chiedere il rinnovo del contratto di lavoro, scaduto ormai da 9 mesi. E’ stata dell’80%, secondo i sindacati, l’adesione media allo sciopero nel settore delle telecomunicazioni, fermo ieri per 8 ore in tutta Italia. Un «ottimo riscontro» che adesso deve portare «Confindustria e Asstel a riflettere e a modificare la propria impostazione dando risposte finalmente positive e costruttive».
Le rivendicazioni del settore riguardano sia il lato salariale che quello normativo. Sul primo versante le distanze sono notevoli, con i sindacati che hanno proposto un aumento di 115 euro e i datori di lavoro che hanno risposto con 58 euro; sul secondo è la pratica quotidiana a fare la differenza: esternalizzazioni, liberalizzazioni e precarietà sono all’ordine del giorno ed è per questo che il nuovo contratto dovrà – almeno questo richiedono i diretti interessati – fissare delle norme riguardo tutte le applicazioni della legge 30 e affini.
Il paradosso delle telecomunicazioni è che la precarietà va di pari passo alla floridezza del settore, l’unico in Italia a segnare un andamento superiore di 4 o 5 punti percentuali al Pil nazionale. Le aziende fanno ricavi ingenti, ma i campi d’azione non sono più quelli tradizionali, almeno non del tutto: «L’azienda vuole ridurre i costi e parallelamente rifarsi il trucco sponsorizzando la Coppa America, il campionato di calcio, i concertoni a Roma – racconta un gruppetto di operai addetti alle riparazioni della rete Telecom – Da 5 anni non facciamo più manutenzione e le installazioni, i monitoraggi e tutti questi interventi finiscono ad altre ditte vincitrici di appalti, sub-appalti e chissà quali altre diavolerie ci sono dopo». E questo per loro significa un notevole cambiamento: «Le aziende a cui Telecom gira questi lavori ti fanno un contratto limitato al tempo necessario per svolgere il compito, metti un mese, e poi basta. Ovviamente così perdi parte del salario e tutti i diritti che il tuo contratto a tempo indeterminato comporta. La precarietà non è solo per i nuovi assunti, o nei call center, ma anche per chi è già dentro Telecom», con l’aggravante che sempre più spesso ai tecnici viene imposto anche il ruolo dei venditori, cioè dopo essere andati in un’abitazione a riparare un guasto dovrebbero riuscire anche a strappare qualche buona commessa.
La giornata di ieri è servita anche ad unificare i tanti diversi aspetti di un settore così ampio, e sempre in espansione, come quello delle telecomunicazioni: dai call center, le «catene di montaggio del nuovo millennio», alle case madri tutti i luoghi di lavoro hanno dovuto fare i conti con un’astensione altissima. A Napoli, per esempio, la Vodafone e la Wind hanno dovuto fare a meno della totalità dei loro dipendenti, alla Telecom 9 lavoratori su 10 non sono entrati nei loro uffici. Un corteo ha poi attraversato le strade della città fino al cinema Corso. A Roma invece l’appuntamento era in piazza del Gesù, mentre gli interventi e le conclusioni finali si sono tenute dentro il teatro Argentina. Una scelta che non ha lasciato del tutto soddisfatti gli scioperanti, che avrebbero preferito un palcoscenico all’aperto: «Uno dei nostri problemi è la visibilità, chiuderci in un teatro non aiuta certo a risolverlo» dicono. Comunque sia, la trattativa per il contratto dovrà ripartire al più presto, e i rappresentanti sindacali assicurano che «non verranno accettati compromessi al ribasso sui diritti», altrimenti ci saranno nuove iniziative di lotta, «a partire dallo sciopero generale del 25 novembre». Una cosa in particolare preme specificare ai lavoratori: «Se noi scioperiamo è anche per i clienti, perché se noi lavoriamo in condizione precarie, anche la qualità finale del servizio ne risente inevitabilmente».