Tirana, dove osavano le aquile

Ormai l’Albania è uscita dall’agenda politica internazionale e sono pochi ormai gli analisti che seguono le vicende del paese delle Aquile. Chi sa, per esempio, che il famoso Berisha cacciato a furor di popolo nel giugno del ’97 è ritornato al governo nel 2005 ? O che le elezioni amministrative dello scorso mese di febbraio sono state vinte dall’opposizione ?
Eppure dieci anni fa questo piccolo paese era al centro dell’attenzione internazionale per quella che è stata definita la «guerra civile albanese». Uno scontro armato che ha provocato nel solo mese di marzo del ’97 qualcosa come 3500 vittime , una cifra enorme se si tiene in conto che la popolazione albanese contava meno di tre milioni di abitanti (un milione erano emigrati all’estero) . E’ come se durante le rivolte contadine del sud , dopo la seconda guerra mondiale, fossero stati ammazzati 60.000 persone !
La scintilla che provocò l’incendio fu innescata dal fallimento delle cosiddette “piramidi finanziarie” , un sistema truffaldino di raccolta del risparmio che , durante la fase di transizione al capitalismo neoliberista, fece registrare clamorose truffe in tutti i paesi dell’est . In Albania, le piramidi finanziarie che offrivano tassi di interesse favolosi, fino al 60 per cento di rendimento mensile , coinvolsero l’80% delle famiglie che vi investirono i soldi delle rimesse degli emigranti, della vendita della casa, di terreni e bestiame. Il paese visse per due anni, dal 1994 al ’96, in una sorta di sogno hollywoodiano , dove il denaro facile era alla portata di tutti e gli albanesi si erano trasformati, per incanto, in gaudenti rentier. Poi, nel dicembre del ’96 , chiusero le prime piramidi e la gente inferocita scese in piazza denunciando le collusioni e le coperture del governo, e in particolare del presidente Berisha. Si è stimato che gli albanesi furono truffati per un valore di un miliardo di dollari, pari ad un terzo del pil del più povero paese europeo.
La rivolta contro il governo Berisha, partita da Valona, si estese al resto del paese e il governo reagì inviando esercito e carri armati. Nel tentativo di presentarsi come il salvatore della patria, colui che avrebbe riportato l’ordine, Bersiha scatenò il caos, diede indicazioni allo shik(i servizi segreti albanesi) di aprire gli arsenali militari e lasciare che la gente si armasse. A partire dai primi giorni di marzo scoppiò una vera e propria guerra civile tra i clan legati a Berisha e il resto della popolazione che chiedeva la testa del presidente. Furono giorni terribili. La stampa internazionale restò sorpresa dalla violenza della rivolta e cercò di trovarne le cause nella divisione etnica del paese: i geg al nord con Bersiha, i tosc al sud con Fatos Nano, il leader socialista che era stato incarcerato per ragioni politiche. Solo alla fine del mese di marzo la comunità internazionale prese atto della inaffidabilità del presidente Berisha e delle sue responsabilità ed inviò una missione internazionale, la missione Alba coordinata dal contingente italiano del generale Venturoni, che aveva il compito di stabilizzare il paese e garantire nuove elezioni politiche alla fine di giugno del ’97. Il popolo albanese, così come i partiti della sinistra, accolsero con entusiasmo la missione Alba e si organizzarono per evitare brogli e manipolazioni, come era avvenuto nelle precedenti elezioni politiche del giugno ’96 dove Berisha aveva vinto anche grazie a palesi brogli elettorali. Con grande determinazione il popolo albanese andò a votare alla fine di giugno del ’97 e dette una schiacciante vittoria al partito socialista di Fatos Nano.
Il paese sembrava così tornato alla normalità, anche se la guerra civile aveva lasciato macerie dappertutto. Cominciò il difficile lavoro della ricostruzione appoggiato anche dalle ong e dalla Ue, ma le grandi potenze occidentali non permisero al governo socialista di fare chiarezza su quanto era accaduto, di fare giustizia e portare in galera i responsabili dell’eccidio e della catastrofe sociale che aveva sconvolto il paese. Così Berisha poté continuare ad operare liberamente ed i dirigenti dello shik poterono continuare ad agire indisturbati. Come altre volte e in altri paesi, e non solo nei Balcani, quando si vuole mettere una pietra tombale sulla storia, quando si spera che le ingiustizie e le sofferenze di un popolo possano essere cancellate con lo scorrere del tempo, prima o poi si pagherà il conto. E l’Albania lo pagò, a rate, e continua a pagarlo ancora.
Nel settembre del ’98 Berisha «l’intoccabile» tenta un golpe con i suoi fedelissimi e occupa il parlamento. La situazione sembra nuovamente precipitare, ma in pochi giorni si risolve anche perché l’occidente non se la sente di sostenere l’ex presidente in questa nuova avventura. Dal ’99 si può dire che inizia una fase di vera e propria ricostruzione del paese. In questo processo un ruolo importante lo gioca il nuovo sindaco di Tirana, Edi Rama, che in pochi anni riuscirà ad abbattere le costruzioni abusive che sorgevano in pieno centro storico, a realizzare un piano del colore che valorizza gli squallidi edifici popolari, a ridare alla capitale una vivibilità che ha sorpreso tanti.
Anche il governo socialista di Fatos Nano riuscì, nel primo mandato, a ridare fiato al paese, a costruire una sistema decente di rete autostradale, di servizi pubblici e di governo del territorio. Purtroppo, come è avvenuto anche nel nostro paese, la sinistra cominciò a prendere gusto al governo, a entrare in affari con imprenditori senza scrupoli, a finire nella rete della corruzione. Crebbero le divisioni dentro il partito socialista fino ad arrivare al punto che alle elezioni politiche del 2005, Meta e Nano si presentarono divisi e si combatterono senza esclusioni di colpi. Risultato: il popolo della sinistra, disgustato, o non andò a votare o divise i suoi voti fra i due schieramenti. E come vuole il proverbio il terzo, Berisha, con meno del 40% dei voti vinse le elezioni e ritornò al potere.
Incredibilmente, il responsabile delle stragi del ’97 tornò tranquillamente al potere dopo otto anni nell’indifferenza assoluta dei media e della comunità internazionale. Insieme a lui rientrarono nelle stanze che contano i suoi fedelissimi, e persino il capo dello shik, tale Gazidede, che dopo un periodo di permanenza nello Yemen è tornato di recente a Tirana ed è stato subito messo a capo del servizio nazionale del catasto (quello che decide delle proprietà delle terre contese). Riabilitato e tornato al potere, Berisha è sempre l’uomo dell’anticomunismo viscerale, della svalutazione delle lotte partigiane e di tutta la storia albanese, della gestione personalistica e autoritaria del potere (una sorta di Berlusconi in salsa albanese). I risultati delle ultime elezioni amministrative, dove 9 città importanti su 12 sono state conquistate dal partito socialista di Edi Rama , fanno pensare che sia prossima la sua uscita di scena. Questa volta accetterà serenamente la scelta degli elettori o cercherà di manipolare, minacciare, ributtare l’Albania nel caos ? I tempi sono cambiati, ma non si può mai sapere. Anche perché la politica albanese è più fantasiosa di quella italiana: Fatos Nano, leader storico dei socialisti, è uscito con pochi altri parlamentari dal partito socialista e si è alleato con Berisha, contro la leadership di Rama. Che succederà adesso?