Telecom, l’Ue interviene e vieta la rete pubblica

Mentre gli azionisti si preparano all’assemblea di lunedì prossimo, sulla Telecom arriva la “telefonata” di Viviane Reding, Commissaria Ue per la Società dell’informazione, che dalla Cina, dove è in visita, ha scambiato quattro chiacchiere direttamente con il ministro Paolo Gentiloni. Un segno evidente che la “griglia di partenza” è quasi pronta e l’Ue, nel momento in cui il governo italiano si appresta a decidere (probabillmente lo farà venerdì prossimo nel corso del Consiglio dei ministri), vuole chiarire il suo punto di vista e non ha nessuna intenzione di partire dalla seconda fila.
L’argomento scottante è, ovviamente, la rete, visto anche che l’Europa ragiona ormai in termini di infrastrutture uniche. Un motivo in più per tentare di tener fuori dalla partita la cordata At&T-AM, fortemente invischiata con i servizi segreti Usa.
L’Ue non vuole assolutamente che ci sia una separazione proprietaria della rete; al massimo è disposta a riconoscere una “separazione funzionale”, sulla falsariga del famoso modello britannico gestito dalla Open Reach.
In un quadro come questo, l’Agcom (Autorithy delle Comunicazioni) potrebbe essere chiamata a giocare un ruolo determinante. Nel modello britannico, infatti, la rete è sotto la governance di una divisione autonoma della Bt in cui la maggioranza della direzione sono nominati dall’Autorithy pubblica (Ofcom). E quindi, lo stop ad un intervento diretto del governo sembra non
stridere con l’obiettivo del ministro Gentiloni: Bruxelles potrebbe non aver nulla da obiettare se, come sembra, il ddl non interverrà direttamente su Telecom, ma, indirettamente, rafforzando poteri e strumenti dell’Autorità Tlc. Nei giorni scorsi Gentiloni ha parlato dell’intenzione di intervenire con un disegno di legge, inserendo le norme necessarie nel ddl Bersani sulle liberalizzazioni o nel ddl sul riassetto delle Authority. «Nel mio disegno di legge ci sono tante buone cose», dice il ministro Pier Luigi Bersani: «Non escludo che il disegno di legge possa essere il veicolo di qualche altra nuova innovazione». Mentre il vicepremier Francesco Rutelli ribadisce che non è sul tavolo la scorciatoia di un decreto legge: «Non mi risulta che il governo stia preparando decreti, non mi sembra che questo sia l’intendimento del presidente del Consiglio».
Il portavoce del Commissario europeo, Martin Selmayr, nel “tradurre” il contenuto della telefonata tra la Reding e Gentiloni, ha sottolineato che Bruxelles «non vede favorevolmente il ritorno delle società alla proprietà pubblica, sia essa parziale o totale». La Reding e Gentiloni «hanno raggiunto un’intesa comune secondo cui il regolatore nazionale delle Tlc può imporre la separazione funzionale delle reti dai servizi come rimedio per rispondere a seri problemi di concorrenza». Servono rimedi, ha indicato, che «dovranno essere identificati da un regolatore indipendente sulla base di un’analisi di mercato, in linea con il regolamento dell’Unione europea e in cooperazione con la Commissione europea».
Per quanto il fronte del risiko societario, non ci sono novità di rilievo. Tutte le ipotesi rimangono aperte ma quella più accreditata riguarda la collaborazione tra la cordata americana e quella italiana capeggiata da Intesa-San Paolo.
Sulla vicenda Telecom è tornata a dire la sua anche il sindacato, che per la giornata del 16 aprile prepara una grande mobilitazione. Le ipotesi di spezzatini e scorpori non vanno sicuramente a genio ai rappresentanti dei lavoratori che temono sia le pesanti ricadute sul piano occupazionale che il depotenziamento dell’asset complessivo. «L’assemblea è l’inizio di un percorso di lotta e di iniziative sindacali per chiamare tutti, a partire dal governo e dalle imprese, alle proprie responsabilità», dice Alessandro Genovesi, segretario della Slc-Cgil. Il destino di Telecom «non si può non discutere con chi rappresenta centinaia di migliaia di lavoratori del settore – ha concluso il sindacalista – e più in generale con le grandi organizzazioni sindacali del paese».
Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani ha ribadito che «il sindacato è per l’unitarietà del gruppo Telecom, per il mantenimento delle eccellenze di ricerca nel nostro Paese ed è contrario alla vendita di Tim Brasile». «C’è un interesse dell’azionista – ha sottolineato Epifani – che non corrisponde probabilmente all’interesse dell’azienda. L’offerta americana e messicana è importante. E’ inutile dire il contrario. Ma è indubbio dire che ci sono preoccupazioni molto serie». Per quanto riguarda le banche, Epifani vuole prima vedere cosa tireranno fuori dal cilindro, ma è pronto a riconoscere il loro ruolo di azioniste «interessate a sviluppare una ricerca di soluzione, sembra complementare». Epifani, infine, ha ricordato che «esiste un problema che riguarda la rete, quella dell’ultimo miglio, che va risolto al più presto». «C’è un problema di parità di accesso – ha detto -, di investimenti che non può essere lasciato ai tempi lunghi. Tutti i paesi con politiche industriali degne di questo nome lo stanno risolvendo. Anche l’Italia lo deve fare».
L’opposizione di centrodestra, intanto, balbetta e non trova cose intelligenti da dire. Bene ha fatto ieri l’esponente della Margherita Riccardo Villari ad attaccarli frontalmente. «Delle due, l’una: o la destra, sulla vicenda Telecom, fa il gioco messicano, oppure si tratta semplicemente dell’ennesima prova di irresponsabilità politica della Cdl».