Tel Aviv: è ora di agire

L’ammissione di Tehran dell’esistenza di un suo secondo impianto per l’arricchimento dell’uranio – fino a qualche giorno fa segreto – ha fornito al governo israeliano un’opportunità senza precedenti per esortare i governi europei e gli Stati Uniti ad attuare iniziative «vere» per porre fine alla «minaccia nucleare iraniana». Le dichiarazioni rilasciate ieri dal ministro degli esteri Avigdor Lieberman sono state chiarissime. «Non siamo stati sorpresi. È da tempo che andiamo dicendo che l’Iran sta cercando di produrre armi nucleari». Le nuove rivelazioni sugli sviluppi del programma nucleare iraniano, ha aggiunto Lieberman, «hanno reso più facile la posizione di Israele…Ora le maggiori potenze devono trarre le conclusioni».
Nel tradizionale discorso alla radio del sabato il presidente degli Stati uniti Barack Obama ha avvertito Tehran di prepararsi a «sanzioni che mordono» nel caso non avviasse una piena collaborazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). «Questa è una sfida seria al regime di non proliferazione globale – ha aggiunto Obama – e continua una serie preoccupante di violazioni da parte dell’Iran».
Poco importa che l’Iran continui a negare di voler costruire bombe atomiche. Ahmadi Nejad forse sta mentendo, ma nessuno (servizi segreti israeliani inclusi) ha prodotto la prova inequivocabile che Tehran abbia in corso un programma atomico militare. Senza dimenticare che se l’Iran lanciasse le sue eventuali bombe atomiche contro Israele sarebbe ugualmente ridotto in cenere dopo un paio di minuti visto che satelliti americani e israeliani controllano ogni centimetro del suo territorio.
Tecnologicamente Tehran non ha le potenzialità per infliggere un decisivo «primo colpo», senza poi pagarne le conseguenze. In ogni caso verrebbe colpito e distrutto dai missili nucleari a bordo dei sommergibili israeliani «Dolphin» entrati nel Mar Rosso nei mesi scorsi e che ora, probabilmente, si aggirano tra l’Oceano Indiano e il Golfo Persico. L’Iran non può vincere una guerra nucleare.
In ballo in realtà c’è la «parità strategica», ossia la possibilità che l’Iran, in possesso dell’atomica, diventi l’altra superpotenza regionale, in grado perciò di dettare le sue condizioni evidentemente non solo a Israele ma anche agli arabi. Tel Aviv sta ultimando il piano di attacco che prepara da almeno tre anni, a volerlo è anche la sua popolazione che pure sa di dover fare i conti con una pesante reazione iraniana, con centinaia di missili balistici. Attaccare l’Iran tuttavia non sarà semplice per l’aviazione israeliana, come lo fu nel caso della centrale irachena di Osirak nel 1981. Gli obiettivi iraniani si trovano ad una distanza tra i 950 e i 1.400 km (tanti anche per piloti di F-15 e F-16 ben addestrati e capaci di rifornire in volo in condizioni difficili), da percorrere nello spazio aereo di paesi arabi. Le potenzialità però ci sono visto che nell’agosto 2003 tre F-15 israeliani furono in grado di raggiungere la Polonia (1.600 miglia nautiche) rifornendosi una, forse due volte, in volo. Secondo esperti citati dal Wall Street Journal, Israele concentrerà il suo attacco soprattutto sulle centrifughe del sito (ben protetto) di Natanz, dedicandosi meno ai reattori di Arak e Bushher, il primo non ancora operativo e il secondo in funzione solo parzialmente (grazie all’aiuto russo). Farà uso con ogni probabilità delle sue bombe a penetrazione (con variante nucleare a basso potenziale), sul modello delle GBU-28 americane già nei suoi arsenali. Un attacco, anche con dozzine di aerei, però potrebbe non bastare e non è detto che gli «arabi amici» chiudano per sempre un occhio sulle violazioni dello spazio aereo. E proprio ieri la Guardia della rivoluzione iraniana ha annunciato il test missilistico nell’ambito di manovre annuali tese a «controllare e migliorare» la capacità di deterrenza delle forze armate iraniane in caso di attacco. E, in caso d’attacco israeliano, non è da escludere l’apertura di altri fronti di guerra, ad esempio alla frontiera tra Israele e Libano, senza dimenticare le conseguenze per le rotte del petrolio nella regione.