Tav. Su questo scandalo ci vuole una commissione d’inchiesta

Con alcune norme inserite all’ultimo momento, senza alcun dibattito parlamentare, senza informare i contribuenti si è giunti all’epilogo del più grande scandalo finanziario pubblico dal dopoguerra. Una somma di denaro gigantesca, 13 miliardi di euro, un terzo di tutta la prossima Finanziaria, andranno a pagare i debiti fin qui maturati dalle società delle Ferrovie dello Stato che hanno dato in concessione la realizzazione del Treno ad Alta Velocità.
Le banche che hanno anticipato i denari e le grandi imprese che li stanno spendendo a piene mani possono stare tranquilli. A pagare a piè di lista sono i contribuenti, il popolo che paga le tasse, compresi quelli che sulla Tav non ci saliranno mai. Compresi gli abitanti di tutte le valli e di tutte le pianure italiane devastate dalla nuova mega infrastruttura. Il “modello Tav”, era stato sbandierato come il più efficace mezzo per raccogliere finanziamenti privati e per mettere a reddito le infrastrutture.
Né l’una, né l’altra condizione si è verificata. Anzi, le concessioni dirette, senza gare, ai “general contactors” si sono rivelate un pozzo a fondo perduto per le finanze dello Stato: preventivi raddoppiati, consuntivi quadruplicati, capitali da rimborsare con interessi stabiliti dalle banche. Il tabù dei“parametri di Maastricht” che – quando vogliono – le autorità monetarie fanno valere per imporre tagli a pensioni, sanità e scuola non contano quando si tratta di ingrassare con denari pubblici gli affari privati di grandi imprese e banche. 13 miliardi sono una enormità; quasi un punto in più sul deficit di quest’anno: che per questa ragione aumenterà dal 4 e mezzo a oltre il 5%. E poco meno di un punto del famoso prodotto interno lordo. E non saranno nemmeno gli ultimi! Non c’è segno di rinsavimento nei dicasteri che governano lo “sviluppo”. I lavori per la continuazione della Tav trovano in altri commi della legge Finanziaria altri denari freschi (per la precisione 8 miliari e 100 milioni da qui al 2021), anche se non si conoscono ancora i progetti esecutivi dei “nodi” come il sottopasso in galleria della città di Firenze e che i preventivi per la tratta Bologna Firenze sono quadruplicati. Ma, come noto, c’è ancora chi insiste sulle tratte Torino Lione, Milano Trieste, Milano Genova. Vi sono poi le bombe ad orologeria accese con la “legge obiettivo” di Berlusconi (ma che piace tanto anche ad alcuni ministri di questo governo) che ha dato il via libera ad una serie di opere (più di 350) senza adeguata copertura finaziaria e senza seri piani tecnico-finanziari di gestione. Se non verranno subito fermate e azzerati i relativi contratti con i concessionari la voragine del debito pubblico sarà tale da devastare le finanze pubbliche per la prossima generazione. E non ci si venga a dire che non lo si sapeva. Con il “modello Tav” – scriveva Marco Travaglio nel 2004, in Le grandi opere del Cavaliere di Ivan Cicconi – “Si riesce addirittura a nascondere sotto il tappeto del bilancio dello Stato la montagna di debiti che il nuovo sistema produrrà, anzi sta già producendo.
Li vedremo affiorare tra qualche anno, quando sarà troppo tardi e ai cittadini non resterà che mettere mano al portafogli per evitare la bancarotta dello Stato”. Il triste momento è giunto. Sarebbe giusto e saggio aprire una riflessione pubblica e trasparente (Rifondazione ha proposto una legge per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla Tav), dichiarare pubblicamente il default della Tav e fare per tutte le altre “grandi opere” ciò che si è fatto per il Ponte dello Stretto: azzerarle. Bisognerebbe finirla con i giochi finanziari di prestigio, con le opere di regime, con le procedure speciali che mortificano i poteri locali e favoriscono i grandi gruppi di imprese. La sfida del debito pubblico va accettata; sono sicuro che faremo delle scoperte interessanti su chi sono i veri beneficiari, a partire dall’energia e dagli investimenti militari.