Ben seicentocinquanta pagine Sergio Soave dedica alla biografia parallela di Ignazio Silone e Angelo Tasca (Senza tradirsi senza tradire. Silone e Tasca dal comunismo al socialismo cristiano, 1900-1940, Aragno, pp. 663, euro 30,00; il titolo è una frase di Tasca a commento della sua vicenda nella Francia di Pétain e di Vichy), due personaggi che hanno avuto esperienze simili: militanti del Psi, successivamente dirigenti del PCd’I, espulsi dal partito, autori di libri molto importanti. Non basta questo a spiegare la scelta di Soave. Lasciamo perciò a lui la spiegazione del gemellaggio: «la stessa precoce critica allo stalinismo, la convergente, innovativa analisi dei motivi della vittoria fascista, l’identica percezione del valore della democrazia liberale, la contemporanea riflessione sul tema della libertà, la comune ricerca di un altro socialismo, l’analoga critica allo Stato, la uguale, corrosiva denuncia dei limiti del partito, la stessa idea d’Europa».
È sufficiente per trovare un filo comune nella storia dei due protagonisti. Ma c’è un altro elemento, fondamentale nel pensiero di Silone e di Tasca, «e cioè l’idea, cui pervengono ciascuno per proprio conto, alla fine degli anni trenta, che, se il socialismo non assorbe l’eredità del messaggio cristiano, finisce per tradire le proprie premesse» (pp. 7-8).
Persone di grande fascino il cui percorso però è marginale nella vicenda della sinistra? Non la pensa così Soave il quale verso la conclusione del suo libro scrive: «Non si può analizzare criticamente la storia dell’intera sinistra italiana senza fare i conti con Tasca e Silone» (p. 585).
Il «profilo incrociato» come lo disegna Soave è certamente assai stimolante: due uomini di grande levatura intellettuale che hanno creduto nella missione di liberazione del comunismo, che hanno dedicato la loro vita al partito, tra mille pericoli, che rompono con l’organismo che era la loro casa e la loro chiesa per coerenza con la propria coscienza e i propri ideali – traditi dal comunismo reale – e si buttano allo sbaraglio senza mezzi, senza amici, senza protezioni, sono una straordinaria lezione di vita. Ma la loro esperienza è significativa anche perché la storia ha dato ragione a loro, ma ha favorito Togliatti: incarnano le ragioni dei vinti.
Tasca fu, insieme a Gramsci, Terracini e Togliatti, fondatore di Ordine Nuovo. Definito «destro» per le sue posizioni sull’alleanza con i socialisti contro il fascismo, fu al vertice del PCd’I fino alla sua espulsione nel settembre 1929. Oltre che «destro» era definito anche «riformista», una parola allora più infamante di «destro»: il peggio del peggio. Fu espulso per le sue critiche a Stalin, ai suoi metodi nella lotta interna. Nella sostanza, le critiche che aveva formulato tre anni prima Antonio Gramsci che non fu espulso dal partito perché ridotto nel carcere fascista (ma espulso dal collettivo comunista del penitenziario di Turi). Silone scrisse anni dopo: «… anche quelli di noi che in sostanza eravamo d’accordo con Angelo Tasca e gli eravamo amici, commettemmo l’errore e la viltà di lasciarlo solo e di condannarlo». Meno di due anni dopo – nel luglio del 1931 – toccherà a lui. E, in fondo, il motivo è lo stesso, risale ai metodi di Stalin.
Silone, che gode della fiducia e della simpatia di Togliatti, a 27 anni, nel 1927, entra nel Comitato centrale e nell’Ufficio politico. Poco tempo dopo la sua ascesa al vertice del partito, partecipa all’VIII plenum dell’Internazionale comunista a Mosca con una delegazione italiana. In una riunione ristretta, Stalin propone la condanna di un documento di Trotzky sulla politica verso la Cina. Silone chiede di conoscere il testo del documento e Togliatti si associa. Stalin rifiuta e ritira la sua proposta adducendo la ragione che in quel documento vi sono notizie di carattere militare che non possono essere rivelate. Nel viaggio di ritorno in Italia Silone e Togliatti apprendono che Stalin ha comunicato alla stampa che il documento di Trotzky è stato condannato all’unanimità.
Silone rimane nel partito al prezzo di un atteggiamento non lineare, non coerente. È oppresso da gravi problemi: il suo stato di salute che lo obbliga a rimanere circa un anno nel sanatorio di Davos, una cittadina svizzera; l’amato fratello Romolo è in carcere accusato di aver provocato la strage della Fiera di Milano nell’aprile del 1928; è in corrispondenza con un ispettore dell’Ovra che conosceva per avere la possibilità di aiutare il fratello (scrivendogli, mandandogli soldi, vestiario, ecc.), ma «senza tradire, senza tradirsi». Non poteva aprire un altro fronte col Partito di cui aveva bisogno per sé, così malato, e soprattutto per aiutare il fratello: i soldi, il «soccorso rosso», il sostegno degli altri comunisti in carcere (Li Causi e altri). Era difficile sopravvivere in quelle condizioni. Nel Memoriale dal carcere svizzero diretto alla Procura federale svizzera, Silone scrive in data 17 dicembre 1942, riandando al dicembre 1930: «Avevo allora trent’anni, ero appena uscito dal Partito comunista, al quale avevo sacrificato la mia gioventù, i miei studi e ogni interesse personale; ero gravemente ammalato; ero privo di mezzi; ero senza famiglia (rimasto orfano a quindici anni, l’unico fratello che mi restava era allora in carcere come cattolico antifascista, e poco dopo in carcere morì); ero stato espulso dalla Francia e dalla Spagna; non potevo tornare in Italia; in una parola ero sull’orlo del suicidio» (a cura di Lamberto Mercuri, Lerici, 1979). Ma trova la forza di reagire.
Nell’aprile del 1930 interrompe l’ambiguo rapporto con l’ispettore Bellone che non ha prodotto nulla a favore del fratello e poco più di un anno dopo resiste alle pressioni del Partito e di Togliatti e viene espulso dal PCd’I.
Tasca e Silone hanno perso il «robusto guscio protettivo» rappresentato dal Partito e non ne cercano un altro: sono soli e senza mezzi. Ma non si piegano, e non rinunciano all’impegno militante che li aveva portati nel PCd’I.
La crisi che attraversa Silone fu drammatica, ma libero dai legami ambigui e falsi, essa fu la sua catarsi dalla quale uscì Fontamara che conobbe un grande successo. Quel romanzo fu concepito come un atto di accusa contro il fascismo e la sua prepotenza contro poveri contadini. Da allora tutta la sua opera – saggi e romanzi – fu un’arma micidiale puntata contro il regime «con ostinazione e fermezza», come scrive Soave.
Tasca legge, studia soprattutto Marx e sbarca il lunario con collaborazioni giornalistiche prestigiose. Tra i suoi progetti vi è la formazione di un partito comunista indipendente che non vedrà mai la luce. Entra nel Psi e occupa posti di rilievo accanto a Pietro Nenni. Silone vagheggia un «terzo fronte» non comunista e non socialdemocratico. È però ostinato nel rifiutare gli inviti, anche di Tasca, ad impegnarsi in un partito. È socialista ma vuole esserlo «senza partito».
Non sono solo gli ideali di libertà e di giustizia del socialismo che lo attirano. Egli porta dentro di sé il ricordo di uno straordinario prete, don Orione, che ha aiutato lui e il fratello dopo il terribile terremoto del 1915 in cui perse la vita la madre: Cristo gli è rimasto nel cuore. Nell’esilio svizzero conobbe un altro straordinario personaggio che fece rivivere i suoi sentimenti cristiani. Si tratta di un pastore protestante, Leonhard Ragaz, portavoce dei socialisti religiosi svizzeri, che ha scritto Da Cristo a Marx – da Marx a Cristo. Non la fede, la Trascendenza, Dio, la Chiesa entrano nella vita intima di Silone: si rafforza, invece, il suo sentimento cristiano ed egli è pienamente «cristiano senza chiesa».
Al cristianesimo si avvicina anche Tasca, attrattovi dal pensiero di Mounier. È attraverso il cristianesimo che entrambi approdano a concepire come fondamento del loro socialismo il «sentimento della giustizia». Ci sono delle prove difficili per entrambi: l’alleanza con i comunisti, il ruolo dell’Urss: non si oppongono e le subiscono come necessità ineludibili nella guerra contro il fascismo.
Il ritorno in Italia non dà ciò che Tasca e Silone si aspettavano. Tasca deve affrontare la campagna, specie del Pci, contro di lui per la sua compromissione con il regime collaborazionista di Pétain e Laval: poté dimostrare di aver utilizzato la sua presenza nel governo di Vichy per passare importanti informazioni alla Resistenza. Silone fu profondamente deluso dai socialisti, sia quelli di Nenni alleati col Pci che quelli di Saragat alleati della Dc. Non fu apprezzato cime scrittore: l’egemonia culturale comunista si faceva sentire contro di lui.
Non sono venuti tempi migliori. Tasca è dimenticato, benché Nascita e avvento del fascismo sia considerato e lo è un testo fondamentale della storiografia contemporanea. Silone è vittima di una vera e propria campagna diffamatoria, anche se le sue opere letterarie incontrano, finalmente anche in Italia, crescente considerazione.
Sono certo che il libro di Soave, estremamente documentato, onesto, scritto con una prosa piana e limpida, contribuirà a dare a Tasca e a Silone il posto che loro spetta nella storia politica e culturale.