Tariq Ali: il popolo iracheno è in lotta

ROMA – Rapporti manovrati sulle armi di distruzione di massa, accuse ai servizi segreti inglesi e americani, inchieste e casi Bbc. Tariq Ali, autore del libro “Bush in Babilonia. La ricolonizzazione dell’Iraq” edito da Fazi Editore e presentato nei giorni scorsi a Roma, non si stupisce ma cita a memoria: «I pescivendoli vendono il pesce; i guerrafondai vendono guerra. Il consumatore è stato invogliato a comprare ma ora scopre che il prezzo della guerra è stato troppo alto, l’affare pessimo».
Il riferimento è alla lettera che Sir Rodric Braithwaite, ex capo del Comitato Congiunto dei Servizi Segreti ed ex consigliere per la Sicurezza Nazionale di Blair, spedì il 10 luglio 2003 al Financial Times . L’inconsistenza della teoria delle armi di Saddam fu denunciata da uno dei più stretti collaboratori di Downing Street che profetizzò, oltre sei mesi fa, gli attuali sviluppi: «Se l’attuale baccano continuerà a crescere, senza dubbio ne scaturirà un’inchiesta giudiziaria sulla gestione delle informazioni sull’Iraq da parte del governo».
La pretestuosità delle motivazioni date in pasto ai media per giustificare l’intervento è il punto cardine su cui si articola l’attacco di Ali. Ora che il “logoro spaventapasseri” delle armi è stato accantonato e le nuove strategie del consenso puntano alla retorica della democrazia e al pericolo del terrorismo, lo scrittore si sente pronto a rivendicare, per il popolo iracheno, una coscienza civile ben più profonda di quella che solitamente gli viene attribuita.
Ali rigetta l’appellativo di terroristi con cui la stampa occidentale definisce i ribelli ipotizzando, al contempo, un’escalation della violenza: «La resistenza irachena è viva e vegeta e ben lungi dall’essere sconfitta. Il terrorismo è un’azione contro gli individui slegata da movimenti politici. L’11 settembre è stato un atto di terrorismo. Ma come si può definire terrorismo la lotta organizzata di un popolo contro l’invasore?». Quella che lo scrittore definisce “legittima resistenza” sarebbe solo in un primo stadio del suo sviluppo. Caratteristiche di questo stadio sono una diffusione decentralizzata e il supporto, a volte tacito ma comunque solido, di una grande maggioranza della popolazione.
Attualmente si conterebbero oltre 40 gruppi di opposizione organizzati. Su queste basi la resistenza potrebbe crescere fino a raggiungere, se le cose non dovessero cambiare in Iraq, il secondo stadio di sviluppo, ovvero la creazione di un Fronte Nazionale di Liberazione.
La resistenza irachena non potrà essere facilmente arginata. E’ più facile, al contrario, che cresca e si espanda facendo nuovi proseliti in tutto il mondo arabo. Scenari inquietanti, dunque, soprattutto di fronte alle ipotesi avanzate da Ali per il quale il sangue continuerà a scorrere fra il Tigri e l’Eufrate e forse non solo lì: «Siamo a meno di un anno dalle elezioni negli Stati Uniti. Questa scadenza è nella mente degli americani che dovranno votare ma anche in quella degli iracheni che non vorrebbero mai vedere rieletto Bush. Ho idea che azioni particolarmente cruente possano essere pianificate a ridosso del termine elettorale statunitense».