Tanti appelli contro le morti sul lavoro. Ma è ora di verificare le risposte

In questi giorni il moltiplicarsi di incidenti sul lavoro hanno finalmente aperto una crescita di attenzione sui problemi della sicurezza. Lodevoli (e autorevoli) intenzioni si sono espresse sull’impegno per accelerare la concretizzazione di interventi legislativi e per misure di maggior sorveglianza.
Vedremo se tutto ciò avrà seguito coerente, come auspichiamo. Intanto sarebbe opportuno evitare affermazioni significativamente sbagliate come la definizione delle vittime sul lavoro come martiri.
Il martirio implica una scelta per una causa; non ci pare abbia molto a che fare con il lavoratore vittima sul lavoro, che non ha mai pensato di scegliere di morire, ma più semplicemente ha dovuto lavorare in condizioni imposte. Comunque tutto ciò è importante, ma non basta; l’aumentata sensibilità al problema non può essere risolta solo così.
Manca un punto, in ultima istanza, decisivo.
Ciò che sta accadendo è davvero comprensibile se non lo si mette in relazione con la natura e le caratteristiche di fondo dei processi che hanno attraversato in questi anni il governo del lavoro?
Il lavoro non è trattabile alla stregua di un bene comune minacciato. I soggetti del lavoro sono uomini e donne, non sono beni da tutelare, ma soggetti da mettere nelle condizioni di essere tali, nell’unico modo possibile, e cioè dotandoli di diritti e favorendo il fatto che insieme e solidali fra di loro possano intervenire sulla loro condizione con un loro autonomo punto di vista da affermare con la lotta quando necessario e con una vera contrattazione collettiva.
Quando queste condizioni vengono meno, rese impraticabili o quasi, non bastano santi protettori o regole esterne che non mettano in discussione il dominio unilaterale interno sulla condizione di lavoro ed il tentativo di cancellare la contrattazione collettiva solidale.
L’indebolimento, per non dire l’annullamento, di una reale contrattazione collettiva solidale e la demonizzazione del conflitto sociale sono state tra le finalità centrali dei processi che si sono strutturati in questi anni nel modello sociale ed economico che si è imposto.
Da un lato la precarietà del lavoro, bassi salari e svalutazione del lavoro manuale e di quelli più rischiosi o disagiati, dall’altro frantumazione del ciclo lavorativo strutturato con imprese frantumate in un quadro integrato e dominato da chi presiede alle funzioni strategiche, a sua volta ricondotto alla massima redditività a breve termine dalla finanziarizzazione: questa è la sostanza dei processi di questi anni (chissà perché definiti «libero mercato»).
Tutti i settori ne sono stati attraversati, sino agli esempi estremi dell’edilizia e della pulizia. Gli aspetti più selvaggi sono figli naturali, e non mostruosità inspiegabili. Dentro tutto ciò il lavoratore è sollecitato ad aderire al comando che ne deriva, a considerare rivali gli altri lavoratori e viene drasticamente ostacolato sulla possibilità di intervenire sui poteri che determinano le condizioni di lavoro.
Come non vedere conseguenze sulla sicurezza e sulla salute non rimediabili su altri terreni?
Gli stessi Rls (Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza), essendo strutture di sorveglianza esterne alla contrattazione collettiva e definibili solo all’interno e per ogni singola impresa, vengono drasticamente indeboliti dal fatto che negli ultimi decenni sono stati sottratti poteri contrattuali sulla salute e sulla sicurezza, nei contratti nazionali e nella contrattazione articolata (per la quale non è mai stata accettata una estensione sul ciclo e per l’insieme delle imprese coinvolte).
E’ su questo piano che si verificheranno in modo decisivo le sensibilità di questi giorni. Certo, non fa buona impressione in questa situazione sentire Bombassei che per risolvere il problema si limita a proporre più sorveglianza dall’esterno, né il ministro del lavoro dire ai sindacati che il problema è premiare i lavoratori più bravi (ad aderire a questi processi?).
Comunque non mancano a breve le occasioni per verificare. Citiamo due appuntamenti molto concreti.
Il primo è sul terreno legislativo e si riferisce alla volontà o meno di sradicare la filosofia della precarietà/flessibilità introdotta nel diritto italiano con la legge 30, e non solo.
Il secondo è costituito dal rinnovo di alcuni fondamentali contratti nazionali di lavoro. Vi sono ad esempio piattaforme che rivendicano sbarramenti vincolanti sulla precarietà, poteri di intervento contrattuale dei lavoratori e responsabilità contrattuali degli imprenditori sull’insieme dei processi che determinano (appalti ed esternalizzazioni in primo piano). Saranno prime occasioni per verificare il tasso di verità o di ipocrisia delle sensibilità di questi giorni.
Sarebbe utile che già sin da ora ci si esprimesse.

* Cgil Emilia Romagna