Giampiero Fiorani è stato arrestato su mandato della procura di Milano con l’accusa di associazione a delinquere. Sembra essere tornati ai tempi di tangentopoli. Ovviamente l’ex amministratore delegato della banca popolare di Lodi (ribattezzata alcuni mesi fa Banca popolare italiana) non è il solo nel mirino della procura milanese. Ma è lui il principale protagonista di questo nuovo scandalo che si abbatte come un ciclone anche sul governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Sono mesi che i Pm di Milano frugano nel merdaio della ex Popolare di Lodi scoprendo cose che altri (Bankitalia e Consob) avrebbero dovuto scoprire da anni. La misteriosa crescita della banca per prima cosa. Da piccola banca locale a stella di prima grandezza con una serie di acquisizione spregiudicate. Seguite ogni volta da aumenti di capitale che a posteriori servivano a giustificare gli acquisti che nel giro di tre anni (dal 2000 al 2003) portarono nelle casse della banca circa 1,7 miliardi di denaro fresco. Tuttavia Piazzaffari fiutava che qualcosa non andava: la Lodi capitalizzava in borsa parecchio meno del proprio patrimonio netto. Un segnale che il mercato non credeva alle operazioni realizzate da Fiorani. Nell’autunno del 2004 il grande salto. Fiorani spinto da complici decide di mettere la mani su un boccone molto grande: l’Antonveneta, una banca padovana, tra le prime dieci istituti di credito italiani.
Nel cui passato c’era anche un padre-padrone, Silvano Pontello, morto nel 2002, che era stato alla corte di Sindona. Per controllare l’Antonveneta aveva creato un patto di sindacato con tanti comprimari, ma nessun primo attore. Salvo una banca estera (la olandese Abn Amro) che stava alla finestra, pronta ad agguantare la preda. In Antonveneta c’era una bizzarra abitudine: il credito facile per i grandi soci azionisti. Come Emilio Gnutti, per citane solo uno. Dopo la morte di Pontello, il nuovo amministratore delegato Piero Montani cercò di fare un po’ di pulizia nei conti e il bilancio del 2003 fu chiuso in rosso. Un banca che cercava di fare un po’ meglio il suo mestiere non piaceva, però, a chi era abituato a farci i propri affari, più o meno puliti. Di qui il tentativo di scalata messo a punto da Fiorani. Inizia a questo punto il frenetico acquisto di azioni di Antonveneta, di nascosto alla Consob, da parte di una quarantina di soggetti (una associazione a delinquere?) con soldi ottenuti in prestito dalla Popolare di Lodi amministrata da Fiorani. In complesso oltre un miliardo di euro, ottenuti al di fuori di ogni controllo, a tassi di interesse bassissimi (3,5-4,0 per cento) e senza garanzie. Tranne quella data dal gran capo Fiorani al quale tutti gli impiegati della sua banca dovevano prostrarsi. Per fortuna c’è chi ha cominciato a ribellarsi: i telefoni sono stati messi sotto controllo evidenziando, purtroppo vista la carica istituzionale, che Fiorani aveva rapporti particolari anche con Fazio, il controllore del sistema bancario. A questo punto con Fiorani a San Vittore gli spazi per Fazio si restringono: probabilmente non sapeva di aver dato fiducia a una massa di mascalzoni. Ma, forse è peggio, non si è accorto che sotto i suoi occhi e con la sua benevolenza stava per compiersi una delle più grosse rapine del secolo.