Talal Khrais: «Gli Hezbollah avevano promesso altre azioni»

Talal Khrais è corrispondente in Italia del quotidiano libanese As Safir (letteralmente l’ambasciatore ndr), primo giornale del paese venduto anche in tutto il resto del mondo arabo. As Safir vanta il primato di aver fermato le rotative soltanto un giorno durante i vent’anni di conflitto libanese. Lo abbiamo contattato prima che partisse per il Libano.

Qual è stata la reazione della popolazione agli attacchi? Ci sono state delle divisioni tra la comunità sciita, drusa e cristiana?

In queste ore non si registrano divisioni di tipo religioso, quanto piuttosto di tipo economico. Mi spiego meglio. Tre giorni fa il primo ministro libanese, Fouad Seniora, aveva dichiarato che quest’anno il Libano, con oltre un milione e mezzo di turisti, aveva raggiunto il punto più alto degli ultimi 40 anni. Questo significa che soprattutto a Beirut, dove la maggior parte delle persone vivono dell’economia turistica, si stanno registrando i maggiori disagi. Ciò non toglie che ci sia, invece, una parte della popolazione che festeggia l’azione degli Hezbollah ed il rapimento dei due soldati israeliani. Questo perché negli ultimi 30 anni – ovvero dalla prime risoluzioni Onu del 1976 – non si è mai realizzato niente senza l’utilizzo della forza. Una popolazione disillusa nei confronti del ruolo della comunità internazionale ha ormai la consapevolezza che, come per il ritiro israeliano dal sud del Libano nel 2000, soltanto attraverso la lotta potranno essere riconosciuti i legittimi diritti di un popolo. L’azione degli Hezbollah mira, come avvenuto nel 2004 quando 500 detenuti libanesi e palestinesi furono liberati in cambio di quattro soldati israeliani, a portare Tel Aviv al tavolo dei negoziati per rilasciare dei prigionieri che, in alcuni casi, sono da 28 anni in mano israeliana. Chiaramente è estremamente triste che si debba ricorrere alla violenza per risolvere delle questioni che dovrebbero essere negoziali, ma, evidentemente, non c’erano altre strade percorribili. E questa è la conseguenza della percezione, da parte del mondo arabo e non solo degli Hezbollah, che la comunità internazionale agisca con due pesi e due misure. Purtroppo anche l’Italia negli ultimi anni, a differenza di quanto faceva dagli anni ’70, si è appiattita in Medio oriente sulle posizioni americane.

Come reagirà il governo libanese? Tenterà di isolare gli Hezbollah per evitare ulteriori ritorsioni?

Questo dipenderà molto dallo scenario che si delineerà nelle prossime ore. Se Israele continuerà ad insistere nella propria azione militare è probabile che altre forze entrino in lotta e penso ai palestinesi. Il partito degli Hezbollah vuole comunque restare all’interno del governo perché in questi anni era una forza rimasta isolata e relegata al Libano meridionale. Oggi, nonostante l’azione unilaterale dell’altro giorno, è costretta a decidere insieme agli altri. Ciò non toglie che la maggioranza del governo sia contraria a quanto avvenuto e non vuole prendersi la responsabilità di un nuovo conflitto mediorientale. Quello che tutti si aspettano adesso è che Israele reagisca militarmente per poi cominciare a trattare. Non a caso il Libano ha chiesto immediatamente una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Perché così facendo Beirut potrà chiedere, in cambio del rilascio dei soldati di Tel Aviv, l’applicazione delle risoluzioni approvate e mai applicate come quelle relative al rilascio dei detenuti libanesi, il ripristino dell’autorità del nostro paese nel Libano meridionale e la restituzione della fattorie di Sheba.

Che ruolo stanno giocando o giocheranno Siria e Iran in questo quadro?

I siriani non hanno mai avuto la forza per affrontare un conflitto diretto con Israele ed hanno sempre agito per interposta persona. Hanno vissuto di rendita sfruttando gli Hezbollah, Hamas o gli insorti iracheni. Damasco non può permettersi un attacco diretto ed usa altri soggetti per chiedere il rispetto degli accordi internazionali, come quelli sulla restituzione delle alture del Golan. Altro discorso vale per l’Iran. Non è pensabile che possano trarre vantaggio dalla situazione libanese e non vedo alcun legame con la questione del nucleare. Teheran è una potenza regionale, ricca e con un discreto esercito. Gli basterebbe far cascare un missile nel Golfo Persico per far schizzare alle stelle il prezzo del petrolio. L’Iran ha una politica autonoma, mentre la Siria è l’emblema della debolezza.

Perché l’attacco degli Hezbollah è avvenuto adesso? C’è una relazione con i fatti di Gaza?

Non credo che vi sia una relazione con quanto accade nei Territori occupati. Conosco gli Hezbollah da quando sono nati e so che lavorano a livello militare con moltissima precisione. E se dicono una cosa la fanno. Avevano promesso, due anni fa, ai familiari dei detenuti libanesi che avrebbero rapito altri militari israeliani per chiedere la liberazione dei loro fratelli. E’ da cinque mesi che preparavano questa operazione e già altri due tentativi erano falliti. Nel governo libanese molti hanno chiesto «perché non ci avete consultato?» La risposta è semplice: perché il giorno dopo Israele lo avrebbe saputo. Il giorno prima del rapimento dei soldati israeliani, gli aerei di Tel Aviv avevano violato ripetutamente il nostro spazio aereo e nessuno ha detto niente. Un mese fa era stata scoperta una rete terroristica finanziata dal Mossad dal 1995 responsabile di numerosi attentati e l’Onu non ha avuto niente da dire. Perché le Nazioni unite si mobilitano per un soldato israeliano e non dicono niente per centinaia di detenuti libanesi? Se il mondo arabo, già dal 2002 con il vertice di Beirut, ha riconosciuto il diritto di Israele ad esistere, perché loro non fanno altrettanto dandosi delle frontiere certe e lasciando che si costituisca uno Stato palestinese realmente indipendente?