Svolta neoprotezionista di Bush contro la Cina ecco i dazi Usa

Con un´improvvisa sterzata protezionista che interrompe 23 anni di continuità, l´Amministrazione Bush cambia strategia nel commercio con la Cina, vara un dazio punitivo che a Washington come a Pechino è considerato l´inizio di una escalation di ostilità dalle conseguenze imprevedibili. I mercati finanziari hanno già reagito con nervosismo, di fronte al possibile avvio di una spirale di rappresaglie che può far deragliare la crescita mondiale.
NewPage Corporation, una cartiera di Dayton nell´Ohio, con un ricorso contro il made in China può avere innescato una catena di avvenimenti ben più grandi di lei: il classico batter d´ali di una farfalla che nella teoria delle catastrofi si trasforma in un uragano dall´altra parte dell´oceano. Accogliendo il ricorso, l´Amministrazione Bush ha deciso di colpire le importazioni dalla Cina con dazi punitivi dal 10,9% al 20,3%. La misura per ora si applica alle carte patinate di alta qualità usate per magazine, dépliant, cataloghi, manifesti: una nicchia di mercato in cui le importazioni dalla Cina l´anno scorso hanno raggiunto i 224 milioni di dollari. Cioè meno di un millesimo del deficit commerciale bilaterale Usa-Cina, che è stato di 232,5 miliardi di dollari nel 2006. Ma la protezione concessa dal governo degli Stati Uniti alla cartiera dell´Ohio è un precedente che aspettavano da tempo altri settori industriali ben più importanti: le lobby delle macchine utensili, del tessile-abbigliamento, dell´acciaio, dei mobili e della plastica, premono con richieste analoghe di dazi e ora le chances che vengano accettate sono aumentate notevolmente.
La svolta dell´Amministrazione Bush è il risultato dei nuovi rapporti di forze al Congresso di Washington. Dopo le elezioni di novembre i democratici hanno la maggioranza parlamentare e possono condizionare la politica del commercio estero. Il partito democratico, più vicino ai sindacati, è il meno liberista. Diversi esponenti democratici accusano la Cina di concorrenza sleale, sostengono che le sue imprese godono di crediti agevolati e sussidi statali all´export. Finora l´Amministrazione Bush aveva tenuto duro ma il via libera ai dazi sulla carta è il segnale che si apre una pagina nuova nelle relazioni tra Washington e Pechino.
Due esponenti democratici che presiedono la commissione Finanze e quella del commercio estero, Charles Rangel e Sander Levin, hanno salutato il provvedimento così: «Ora ogni settore industriale americano che si ritiene danneggiato può ottenere giustizia».
La reazione cinese è stata dura. Il portavoce dell´ambasciata della Repubblica popolare a Washington, Chu Maoming, ha definito la misura «un danno inaccettabile» e ha annunciato che «il governo cinese si riserva il diritto di salvaguardare i propri diritti e legittimi interessi». A Pechino il ministero del Commercio estero ha dichiarato: «Questa azione degli Stati Uniti contraddice il consenso che era stato raggiunto tra i leader dei due paesi per risolvere le dispute attraverso il dialogo».
Anche negli Stati Uniti l´improvvisa svolta protezionista ha suscitato preoccupazioni. Il New York Times vi dedica la prima pagina con un titolo che parla di “drastico cambiamento”. Il Los Angeles Times cita l´esperto di geopolitica Jason Kindopp di Eurasia Group secondo il quale «la novità è significativa, può segnare l´inizio di una nuova tendenza». Un timore è che Pechino possa ricorrere a rappresaglie contro gli interessi stranieri. Anche se il commercio bilaterale è pesantemente squilibrato in favore del gigante asiatico, è noto che una quota consistente delle esportazioni made in China sono prodotte in realtà nelle fabbriche delle multinazionali Usa insediate da anni a Shanghai, Canton, Shenzhen. Una frenata alle esportazioni dalla Cina può rappresentare un duro colpo per i bilanci di molte marche americane. I mercati finanziari hanno accusato il colpo: venerdì sera il dollaro si è indebolito e la Borsa di Wall Street ha annullato i guadagni che erano stati innescati dal calo del prezzo del petrolio. «I dazi contro la Cina possono affondare il dollaro» ha dichiarato David Watt, responsabile del mercato dei cambi alla Rbc Capital Markets di Toronto. Joseph Battipaglia, capo della divisione investimenti nella società finanziaria Ryan Beck di Philadelphia ha detto che «attaccare la Cina con misure protezioniste può avere conseguenze incalcolabili». Un´incognita è l´impatto sui consumatori. Il made in China a buon mercato che domina gli scaffali di Wal-Mart e di tutta la grande distribuzione americana, ha un effetto calmieratore sul costo della vita. Se si riduce la disponibilità di prodotti cinesi l´inflazione può aumentare, costringendo la Federal Reserve ad alzare i tassi d´interesse, con un effetto depressivo sulla già debole crescita americana. Un altro rischio è legato al ruolo della banca centrale cinese come “creditore di ultima istanza” degli Stati Uniti. A furia di accumulare attivi commerciali, Pechino ha messo da parte circa 1.200 miliardi di dollari di riserve valutarie ufficiali. La Cina è diventata uno dei principali serbatoi del risparmio mondiale, e una esportatrice netta di capitali all´estero. La maggior parte delle sue riserve (intorno al 70%) sono reinvestite in buoni del Tesoro Usa, quindi finanziano il debito federale di Washington e indirettamente la spesa delle famiglie americane. Se la banca centrale cinese dovesse abbandonare il sostegno al dollaro, la moneta americana sarebbe esposta a una crisi di sfiducia, destabilizzando i mercati finanziari internazionali. Sia nel caso di un rallentamento della crescita americana e cinese, sia nello scenario di una forte svalutazione del dollaro, i danni si farebbero sentire anche in Europa.
Il precedente creato dai dazi punitivi sulla carta cinese è importante perché segnala un cambio di regole fondamentale. Dall´inizio degli anni Ottanta gli Stati Uniti si sono preclusi la possibilità di usare i dazi punitivi contro la Cina, in quanto la classificano tra le “economie non di mercato”. Questa definizione giuridica impedisce in linea di principio di verificare se le imprese cinesi godano di sussidi all´export. Se infatti si stabilisce che la Cina non è davvero un´economia di mercato, allora si deve presumere che le sue aziende siano comandate da direttive governative, non influenzate da incentivi economici come i sussidi. Nei confronti dei paesi definiti “non di mercato” gli Stati Uniti possono usare solo le tasse anti-dumping, molto più basse dei dazi punitivi. Ma nel varare il provvedimento protezionista per le cartiere il segretario al Commercio Carlos Gutierrez ha dichiarato: «La Cina di oggi non è la stessa di anni fa; così come è cambiata la Cina, devono adattarsi anche gli strumenti con cui noi garantiamo che le imprese americane siano esposte a una concorrenza leale». Questa svolta ora alimenta le speranze di altri settori industriali americani, le cui richieste di dazi contro il made in China erano state bocciate per anni.