Hamas accetta di fatto l’esistenza di Israele nel territorio storico della Palestina. La svolta, che apre la strada al riconoscimento ufficiale dello Stato ebraico da parte del movimento islamico, è avvenuta ieri a Gaza quando è stato annunciato che, dopo settimane di negoziati, le formazioni palestinesi laiche e islamiche hanno finalmente definito una piattaforma politica nazionale sul documento elaborato dai detenuti in carcere in Israele (primo fra tutti il segretario di Fatah, Marwan Barghuti) che, tra i suoi 18 punti, prevede la nascita di uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania e Gaza, con capitale il settore arabo (Est) di Gerusalemme, sotto occupazione israeliana dal 1967. Accettando questa formula, Hamas riconosce implicitamente Israele.
Senza ombra di dubbio è un cambiamento di rotta rispetto al secco «no» a Israele ribadito dal movimento islamico sin dalla sua fondazione 19 anni fa e la svolta andrebbe incoraggiata con aperture dall’altra parte. Invece le autorità israeliane hanno respinto come una «questione interna palestinese» l’accordo di ieri. «Per quanto ci riguarda, si tratta di una questione interna palestinese», ha detto Assi Shariv, dell’ufficio del primo ministro Ehud Olmert. «Il documento non è mai stato accettato da noi e ancora non vediamo alcun cambiamento in esso», ha aggiunto. Ha tagliato corto il portavoce del ministero degli esteri Mark Regev spiegando che lo Stato di Israele è concentrato «su una sola cosa, il destino del soldato Ghilad Shalit», rapito domenica da un commando palestinese. E pochi minuti dopo è giunto il commento dell’Amministrazione Bush,in linea perfetta con la posizione espressa da Israele. «Aspettiamo di vedere qualcosa di concreto – ha detto il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow – perché si tratta di una di quelle cose vaghe, con persone che fanno un po’ di concessioni alla stampa. Speriamo, se vuole (davvero) essere riconosciuto che Hamas rinunci al terrore e rispetti gli altri provvedimenti di cui abbiamo parlato. Sono condizioni basilari». Diversa è stata la reazione dell’Ue. Per il commissario alle relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner, l’accordo interpalestinese è positivo ma deve rappresentare l’inizio di un processo che porti all’accettazione da parte di tutte le fazioni, Hamas inclusa, dei principi sanciti dal Quartetto, ovvero la rinuncia alla violenza, il riconoscimento di Israele e il rispetto degli impegni internazionali.
«Cose vaghe»? «Concessioni alla stampa»? Tel Aviv e Washington bocciano senza appello l’accordo sul documento dei detenuti che invece è concreto e testimonia che all’interno del movimento islamico palestinese è in corso un dibattito che potrebbe portare i suoi dirigenti a riconoscere in modo ufficiale, in tempi relativamente brevi, lo Stato di Israele ma anche provocare spaccature tra l’ala politica (ritenuta più pragmatica) e quella militare. Gli stessi analisti israeliani ieri sottolineavano che il sequestro di Ghilad Shalit con ogni probabilità è stato portato a termine da militanti usciti da Hamas che si oppongono alla «linea moderata» del governo di Ismail Haniyeh. A sottolineare l’importanza delle scelte compiute dagli islamisti sono anche i punti dell’accordo che riguardano la lotta armata – Hamas accetta che essa si «concentri» nei territori sotto occupazione militare – e i rapporti futuri tra le fazioni palestinesi. Sarà infatti l’Olp (l’organizzazione controllata da Al-Fatah, che per decenni ha rappresentato la causa palestinese nel mondo) a prendere le decisioni che contano in «politica estera» (quindi anche su un eventuale accordo di pace con Israele) e la sua riforma avverrà gradualmente e non prima dell’ingresso di Hamas e Jihad nella sua assemblea (Consiglio nazionale palestinese). Il presidente Abu Mazen perciò emerge rafforzato dalle trattative che hanno portato all’accordo di ieri e, a questo punto, dovrebbe revocare il referendum sul documento dei prigionieri che aveva annunciato per il prossimo 26 luglio.
«La svolta politica avvenuta ieri a Gaza è reale ma i dirigenti di Hamas in esilio l’hanno effettivamente approvata?», ha chiesto l’analista palestinese Nabil Kokali, facendo riferimento alla linea più intransigente mostrata sino ad oggi dal capo dell’ufficio politico del movimento islamico, Khaled Mashaal e da altri dirigenti dell’organizzazione che vivono in esilio. «Due sfide attendono i leader di Hamas più pragmatici – ha avvertito Kokali – la risposta di Israele all’accordo e la reazione degli islamisti radicali. Snobbando l’accordo tra le fazioni palestinesi, il governo israeliano indirettamente contribuisce ad affondare gli islamisti più moderati e rafforza quelli contrari a qualsiasi ipotesi di compromesso territoriale sul futuro di questa terra».