Superfalchi a colazione (primo articolo di due)

Dall’inizio del conflitto, ogni venerdì mattina i capi dell’American Enterprise institute (il think tank più influente della destra americana) si riuniscono per un incontro chiamato «black coffee briefing». Ecco, testualmente, cosa si dicono.

Richard Perle. La mia impressione è che questa guerra stia andando bene e che la resistenza irachena sia minima
William Kristol. Questa sarà una vera guerra di liberazione, combattuta come una guerra di liberazione
RICHARD PERLE «La mia impressione è la stessa della maggioranza di voi, immagino: che questa guerra sta andando bene, che la resistenza è stata minima. Ciò non mi sorprende. E non sorprende i nostri strateghi. Lo diciamo da molto tempo che ci sono poche persone pronte a combattere per Saddam e tanto meno a morire per lui. Ed è piuttosto ironico che, guardando la televisione, vi siano più manifestanti a San Francisco che persone pronte a combattere per Saddam in Iraq. (…) Questa è una guerra per liberare un paese. (…)Queste considerazioni possono sembrare un po’ incaute. La guerra continua, e sarebbe da folli assumere che andrà avanti liscia come sembra essere andata finora. E, tristemente, abbiamo avuto già alcune perdite. Ma sembra chiaro che questo regime è stato condotto alla fine da una coalizione di più di 40 paesi – e il numero è in aumento, naturalmente. (…) Il che dimostra quanto sia menzognero l’argomento dell’unilateralismo, che noi stiamo procedendo da soli. In Europa, ad esempio, ci sono più paesi dalla nostra parte di quanti non siano quelli che si oppongono (…)». MICHAEL LEDEEN «Questa è una battaglia in una lunga guerra (…) e non possiamo vincere, se ci limitiamo al solo Iraq. Penso che i paesi del terrorismo che confinano con l’Iraq, vale a dire Iran e Siria, lo sappiano. Penso che il piano di Saddam fosse di sparire in Siria, come Osama bin Laden è scomparso in Iran alla fine – o a metà – della guerra in Afghanistan. Penso che gli iraniani e i siriani intendano fare tutto quello che è in loro potere per destabilizzare i nostri sforzi in Iraq, quando la guerra sarà finita e ci saremo insediati sul territorio. Ci sono due modelli per la loro azione. Uno è il Libano degli anni `80 e l’altro è l’Afghanistan oggi (…)». RADEK SIKORSKI «Prima di tutto voglio portare ai miei colleghi gli auguri di un paese, la Polonia, che sta combattendo a fianco delle truppe americane. (…)L’Europa paga già un alto prezzo per questo conflitto. Si è spaccata grosso modo in due metà (…) e penso che per gli Stati uniti sia meglio questo, piuttosto che un’Europa unita su una base anti-americana. Ma ciò non è buono nel lungo periodo. Perché credo che fondamentalmente ciò che ci unisce è più di quel che ci divide. Vi sono almeno due importanti compiti che l’Europa e l’America devono portare a termine insieme. Uno è cancellare il debito lasciato dall’impero sovietico, per stabilizzare lo spazio post- sovietico e, secondo, agire insieme per democratizzare il Medioriente allargato. Ma l’Europa in questo non è stata utile agli Stati uniti (…). Tuttavia spero che vi sia una via d’uscita a questa crisi (…). Perché dovrebbe essere assolutamente chiaro che gli Usa hanno ancora abbastanza potere e amici in Europa da impedire che il continente si unisca contro di loro (…)». RICHARD PERLE «Stiamo assistendo, e assisteremo, all’impatto straordinario di tecnologia militare avanzata sviluppata in questo paese (…). Ciò significa un notevole risparmio di forze – forze applicate con grande precisione solo dove e quando è necessario. Ciò ha molte implicazioni, anche umanitarie. Non è più necessario distruggere vaste infrastrutture per difendersi con efficacia da un nemico che vuole danneggiarci.(…)». WILLIAM KRISTOL « Suppongo che questa sarà chiamata dagli storici la Seconda guerra del Golfo, ma non credo sia corretto nel senso che per molti aspetti è diversa e quasi l’opposto della prima guerra. Io ero allora alla Casa bianca di Bush e vi fu una grossa campagna di bombardamenti. E’ quello che dovevamo fare. Non avevamo altra scelta tecnologica allora. (…) Ma non sarebbe scorretto dire che nel 1991 siamo andati per riportare sul trono l’emiro del Kuwait, salvare la famiglia saudita del petrolio. Come era necessario. Non potevamo lasciare in mano a Saddam metà delle risorse petrolifere del mondo, con tutte le implicazioni conseguenti per l’economia mondiale, per la stabilità geostrategica, per la sua ricchezza e abilità di ottenere ancor più armi di distruzione di massa, anche più in fretta. Così è stata una guerra giusta. Abbiamo assicurato i rifornimenti di petrolio, stabilizzato la regione ma di fatto non abbiamo aiutato il popolo arabo (…). Questa sarà una vera guerra di liberazione, combattuta come una guerra di liberazione. Penso che le implicazioni nel mondo arabo saranno molto significative, stupefacenti. (…)». M. LEDEEN « Io penso che la storia avanzi per paradossi. Uno dei paradossi è che più grande è il potere che hai e più grande il tuo vantaggio sugli altri, meno probabile è che tu debba combattere guerre davvero sanguinose, perché la tua superiorità è evidente. Il secondo paradosso è che quando si ha la missione giusta, è più facile avere grandi risultati. Quel che è andato male nel `91 è che la nostra missione non era quella di rimuovere Saddam Hussein, e questo ha ristretto le nostre possibilità(…)». R: PERLE «E’ azzardato fare previsioni all’inizio della campagna, ma credo che questa guerra farà risparmiare vite umane, e che i dimostranti che in buona fede protestano perché hanno orrore della perdita di vite umane dovrebbero guardare alla matematica. Vite saranno salvate con l’abbattimento di Saddam, se facciamo il calcolo della gente che perde la vita per mano sua in quel suo paese (…)». MR. BAXTER (Domanda dal pubblico), del quotidiano economico tedesco Handelsblatt.

« Si è detto che questa guerra contro l’Iraq è solo il primo passo in una più vasta guerra regionale, che paesi come la Siria e l’Iran potrebbero essere i prossimi nel mirino. Cosa intende fare l’amministrazione per convincere paesi che criticano la guerra, come Francia e Germania? Non c’è la possibilità che il fossato si approfondisca e che alla fine si avranno vasti danni collaterali sul versante diplomatico?» M. LEDEEN «Sì, forse. Ma è perché paesi come Francia e Germania insistono a puntellare regimi oppressivi e tirannici come Iran e Iraq. Se si unissero al campo democratico, non ci sarebbero queste dispute.E poi, nel caso dell’Iran, non sarebbe una guerra. Non richiede l’uso del potere militare. L’Iran è un paese dove, secondo loro sondaggi interni, più del 70% del popolo iraniano odia questo regime e vuole che finisca – e sono pronti per la democrazia. (…) E così spero che l’Iraq sia solo una battaglia di una più vasta guerra. Il presidente aveva ragione – il 12 settembre 2001 – quando ha detto che non avremmo fatto distinzioni tra il terrorismo e i paesi che lo sostengono. E ad essere seri, rovesciare il regime iraniano è l’azione centrale perché l’Iran è la nazione terrorista più pericolosa del mondo. E’ la madre del moderno terrorismo (…)». MR DEGTER (dal pubblico): « Parliamo del senso di vendetta che avverto contro la vecchia Europa. E’ giustificato? La Germania, che voi ponete nel campo avverso, sta facendo molto più di tanti alleati degli Usa che voi citateche voi citate. Nel sostegno logistico, ad esempio. E’ terribile che voi parliate contro un paese che ha preso una posizione differente in legittimo disaccordo con gli Stati uniti. E inoltre, la questione della Onu e la ricostruzione dell’Iraq…» W. KRISTOL «Io distinguerei – ai fini del discorso – Germania e Francia. (…) Io penso che una diplomazia brillante e intelligente, che può essere troppo sperare dal Dipartimento di stato, dovrebbe puntare a dividere la Germania dalla Francia. La Francia non è interessata al mondo che l’America, a mio avviso, dovrebbe cercare di forgiare. (…) Non voglio punire Francia e Germania. Ma non voglio neppure insistere sul fatto che tutto debba essere fatto con tutti 19 o 25 paesi, o quanti sono ora, dell’Ue.(…) Essere vendicativi sarebbe folle, ma anche essere codardi lo sarebbe. Quanto all’Onu, ho firmato una lettera, insieme ad altri amici dell’Aei. Una lettera bipartisan, repubblicani e democratici, nella quale si afferma che abbiamo bisogno di ricostruire l’Iraq. Abbiamo bisogno di restare lì. E’ un vero impegno, militare e civile. Abbiamo bisogno di lavorare con le istituzioni internazionali e gli alleati per farlo. (…) ma agire attraverso le istituzioni non significa lavorare con l’Onu. Una delle grandi conquiste dell’amministrazione Bush degli ultimi sei mesi, passata forse inavvertita, è stato di dimostrare che si possono costituire alleanze e coalizioni senza passare necessariamente attraverso l’Onu (…). Mi si deve dimostrare nei fatti (…) che l’Onu è migliore di tutte le strutture di alleanza regionale immaginabili. (…) Non dobbiamo presumere che tutte le istituzioni ereditate dal passato siano inutili, ma neppure che siano sacrosante. (…) L’amministrazione Bush è andata all’Onu, ha cercato di ottenerne l’appoggio. Non c’è riuscita. Ha detto, bene, avete scelto di non sostenerci, andiamo avanti con gli alleati che abbiamo per fare ciò che riteniamo necessario. Non c’è niente di vendicativo in questo. E penso che nessuno statista responsabile degli Stati uniti abbia detto una singola cosa sgradevole sulla Germania. La Francia è un po’ diversa (risate). (…) Quel che Schroeder ha detto è stato assolutamente senza precedenti nel dopo-guerra e la risposta americana è stata piuttosto blanda. La Francia è un’altra storia, perché di fatto ha condotto una campagna per indebolire la capacità Usa di intraprendere ciò che ritenevamo necessario per la nostra sicurezza e i nostri interessi. Un comportamento senza precedenti da parte di una nazione che afferma di essere alleata(…)». R. PERLE «La questione non è la vendetta americana. La questione della ricostruzione (…) sarà decisa dagli iracheni. E perdonerete se in questa circostanza gli iracheni saranno vendicativi. Per come la vedo io, la Francia ha resistito fino alla fine, e resiste ancora oggi, alla liberazione del loro paese. Così non è probabile che saranno grati o ben disposti verso la Francia e. in misura minore, non credo che sentiranno di dovere alcunché alla Germania. (…)Infine, l’Onu: è stata progettata per impedire invasioni nel futuro. Non era destinata a proteggere noi o altri contro le minacce che dobbiamo fronteggiare ora, minacce che possono venire dall’interno di un paese che si può pensare sia contenuto ma tuttavia capace di diventare sempre più minaccioso. (…) Così non abbiamo obiezioni nei confronti dell’Onu. Semplicemente il tempo è passato per la struttura Onu come istituzione che garantisca la sicurezza. Oggi va bene per la sanità, l’agricoltura mondiali, e per il mantenimento della pace. Per questi scopi penso che ne abbiamo bisogno. Ma non possiamo aspettarci che faccia cose che non è nata per fare e non è in grado di fare. Così abbiamo bisogno o di nuove istituzioni o di una riforma radicale delle Nazioni unite (…). Penso che dovremmo iniziare un dibattito per rivedere la Carta dell’Onu. Oggi questa Carta non è all’altezza del compito di difendere i popoli in un mondo di terrore». M.LEEDEN «Questo è il minimo. Noi dovremo far uscire la Francia dal Consiglio di sicurezza.(…) In realtà lo ha già dimostrato Clinton con la Bosnia che non abbiamo bisogno delle Nazioni uniti per procedere a serie operazioni internazionali. Giusto?»