«Superare» non sarà «chiudere». Arriva la relazione sui cpt

Alla fine la relazione sarà unanime ma ciò non toglie che i membri delle associazioni potrebbero far aggiungere una postilla per dire che, loro, avrebbero gradito qualcosa di più. E cioè, quella parola: «chiudere». Chiudere i centri di permanenza temporanea, trovare un modo alternativo per gestire le espulsioni degli immigrati. Ma non dirà questo la stesura finale del documento della Commissione De Mistura, che verrà presentata oggi pomeriggio al Viminale. Come avrebbe potuto, d’altronde, visto che il concetto della cancellazione dei centri di permanenza temporanea – vere e proprie «galere etniche», secondo diversi partiti oggi al governo – non si era potuto infilarlo nemmeno nel voluminoso programma dell’Unione, quello con cui il centrosinistra si è presentato agli elettori, in cui dice invece che saranno «superati».
Tuttavia il lungo tour in giro per l’Italia per ispezionare i 13 cpt oggi funzionanti, i dati raccolti inviando alle questure schede comprendenti ben 177 quesiti (ma non tutte hanno risposto), hanno portato alla luce problemi seri. Prima di tutto il fatto che non sono efficaci: solo tra il 30 e il 40 per cento delle persone rinchiuse nei centri viene effettivamente espulso. In compenso, costano molto e con convenzioni spesso poco trasparenti. «Se questa fosse un’impresa, avremmo dichiarato fallimento», avrebbe esclamato un giorno uno dei prefetti che ha partecipato alle visite. E allora il compromesso è svuotarli, far sì che al loro interno venga rinchiusa soltanto una «residualità» di immigrati clandestini. La relazione conterrà una serie di proposte rivolte al governo per far sì che questo avvenga.
Quella più avanzata prevede il divieto di recludere in un centro di permanenza temporanea l’immigrato che abbia già avuto un permesso di soggiorno. Il concetto è che chi ha ottenuto un permesso, di qualsiasi tipo, anche in passato, ha già fatto registrare le proprie impronte digitali, quindi è perfettamente identificato. Di conseguenza non ha senso chiuderlo in un cpt, la cui funzione dovrebbe essere proprio quella di identificare lo straniero. Di persone ex regolari, invece, i centri di permanenza sono pieni.
L’altra proposta è di identificare gli immigrati che hanno commesso reati direttamente in carcere, invece di «punirli» con una pena aggiuntiva di uno o due mesi da scontare in un cpt. Da almeno sei anni non si identificano più le persone in carcere per una questione di «privacy»: il timore era che i consoli, preposti a dare un nome e un cognome al proprio cittadino espatriato, potessero accedere ai dossier dei reati commessi. La nuova legge dovrebbe ovviare a questo rischio, assicurando contemporaneamente che la certificazione dell’identità avvenga dietro le sbarre.
Ma ci sono anche altre categorie che si vorrebbe tentare di tenere lontano dai cpt: le famiglie (il che avviene già oggi, ma i cpt di seconda generazione come quello di Gorizia prevedono invece delle celle famigliari), le persone malate e le vittime di tratta.
Ma l’aiuto principale per far sì che i cpt vengano svuotati, alias superati, dovrebbe arrivare dal nuovo regime delle espulsioni contenuto nella legge delega per riformare la Bossi-Fini. L’idea del governo – che però ci metterà almeno un anno per varare una riforma – è far sì che gli irregolari trovino più conveniente andarsene subito e con le proprie gambe, piuttosto che rimanere in Italia e rischiare di finire nel cpt. Si cercherà di farlo assicurando a chi se ne va di poter rientrare regolarmente dopo un anno, e istituendo il «Fondo rimpatri», che pagherà le spese di viaggio.
A questo punto, nell’idea della Commissione e soprattutto delle associazioni che hanno accettato di partecipare a una commissione istituzionale su un tema piuttosto delicato, è che nei centri rimane soltanto chi si mette di traverso, cioè chi proprio non vuole farsi identificare. Anche per costoro, però, andrebbe ridotto il tempo di permanenza: non più 60 giorni ma cercare di accorciare il più possibile il termine. Per i più collaborativi, la reclusione dovrebbe durare al massimo 96 ore.
Ma occorrerà attendere oggi la relazione finale, perché ancora ieri sera la discussione si è protratta al Viminale fino a tarda notte. E’ questione di virgole, aggettivi e sostantivi. Perché sul fatto che i cpt non funzionano sono tutti d’accordo. La politica, però, è un’altra cosa.