Super-delegazione Usa sbarca a Cuba

Quanto più sembra allontanarsi l’eventualità di un ritorno in forza sulla scena di Fidel Castro, tanto più l’isola nella corrente prende a muoversi velocemente. O meglio, l’isola per il momento sta ferma, sono gli altri che si muovono. Per capire cosa stia succedendo e cosa succederà se e quando il lider maximo sarà definitivamente uscito di scena.
Trattandosi di Cuba, quelli che si agitano di più sono gli americani. Più ancora che l’esilio cubano di Miami che si prepara a festeggiarne la morte – quando verrà -, preparativi che del resto ha già dovuto rinviare decine di volte, l’amministrazione Bush e il nuovo congresso che ha cambiato colori e a quanto pare umori dopo le elezioni di novembre.
Per l’amministrazione Fidel se non morto è moribondo. Il Washington post è uscito ieri con dichiarazioni di John Negroponte in cui il super-capo della intelligence Usa assicura che «stando a tutto quello che vediamo», a Fidel non resta «molto tempo»: «mesi, non anni». L’8 dicembre l’Independent di Londra citava «fonti diplomatiche di alto rango» che avrebbero confermato un tumore «aggressivo» allo stomaco per Fidel che rifiuterebbe di sottomettersi alla chemio e radioterapia.
Se l’amministrazione è in una posizione di «wait and see» e respinge con un’alterigia pari solo alle difficoltà in cui si ritrova le «aperture» di Raul per un negoziato da pari a pari, il nuovo Congresso appare più dinamico e deciso a saggiare il terreno, alimentando le speranze di quanti negli Stati uniti – e sono tanti – confidano in uno sblocco della impasse in cui si sono cacciati i fratelli Bush – il presidente George, uscito con le ossa rotte dalle elezioni di midterm, e il governatore della Florida Jeb, che si leverà di torno in gennaio.
Un sintomo di questi movimenti è l’arrivo ieri all’Avana di una folta delegazione bipartisan – 5 democratici e 5 repubblicani – di deputati Usa. Non è la prima volta che dei congressiti nord-americani visitano Cuba. Ma la consistenza e il momento rendono questa visita diversa da tutte le altre.
E’ la prima volta dal ’59 che un gruppo così numeroso di deputati Usa arriva all’Avana. E’ la prima visita dopo che il 28 luglio Raul ha preso il posto di Fidel («temporaneamente»). I 10 sono guidati dai deputati Jeff Flake, repubblicano dell’Arizona, e William Delahunt, democratico del Massachusetts, che sono fra i più decisi fautori di un nuovo approccio dell’amministrazione rispetto a Cuba e dell’alleggerimento se non proprio della fine del demenziale embargo che dura da 44 anni. Flake e Delahunt sono gli stessi che hanno sollecitato un rapporto al Government Accountability Office sull’uso dei fondi federali versati a vario titolo per promuovere «la democrazia» a Cuba. Il rapporto finale, uscito in novembre, ha rivelato che di 73.5 milioni di dollari versati all’opposizione interna cubana attraverso i canali del Dipartimento di stato e dell’Usaid, a Cuba sono arrivati meno della metà e l’altra metà si è fermata nelle mani della poderosa e vorace comunità anti-castrista di Miami. Il rapporto rivela particolari grotteschi: quel denaro dei contribuenti americani è servito anche per comprare video-giochi, biciclette, abbigliamento, conserve e cioccolata in Florida. Un ulteriore colpo per un’amministrazione che fa acqua da tutte le parti e la cui politica di ulteriore indurimento delle sanzioni dal 2004 (fino al ridicolo di multare il regista Oliver Stone per essere andato all’Avana nel 2002 e 2003 a girare il suo film su Fidel Castro) si è dimostrata fallimentare. Ancor più dei decenni precedenti, stando alle ultime cifre fornite dalla Cepal che nel 2006 danno Cuba al primo posto in America latina nella crescita del Pil (grazie agli accordi con Venezuela e Cina): 12.5%.
All’Avana la delegazione Usa, criticatissima ancor prima di partire dalla comunità cubano-americana, si fermerà fino a domenica e vedrà Ricardo Alarcon, presidente dell’Assemblea nazionale; Felipe Perez Roque, ministro degli esteri; Yadira Garcia, ministro dell’energia; Francisco Soberon, presidente della Banca centrale; il cardinale Jaime Ortega. E forse anche lo stesso Raul, mentre non è chiaro se incontrerà i dissidenti.
Sonderà i leader e l’establishment cubano, come la Gallup ha sondato 600 abitanti dell’Avana e 400 di Santiago fra l’1 e il 15 settembre. Un sondaggio non concordato con le autorità cubane ma neanche da esse osteggiato che ha dato risposte interessanti. Due per tutte: il 47% si dice soddisfatto dei suoi leader Fidel e Raul, contro il 40 che non lo è; il 25% si dice insoddisfatto del suo livello di «libertà personale»; il 96% è soddisfatto con il sistema di educazione e salute, accessibile a tutti «sin importar de su situacion economica».