Il nodo della presenza italiana in Afghanistan, in quella che il primo ministro inglese chiama esplicitamente una «missione dura e pericolosa», entra nelle sue settimane cruciali sia in parlamento che fuori.
La commissione difesa della camera ha finalmente potuto conoscere ufficialmente il testo varato dal governo. L’esecutivo, alla fine, ha osservato una procedura piuttosto barocca, sottolineata dagli sberleffi dell’opposizione di centrodestra. Dopo il decreto legge varato il 30 giugno ha presentato due diversi disegni di legge: uno di pura conversione del decreto, l’altro un «ddl fotocopia» soggetto, quindi, a emendamenti del parlamento. Emendamenti che possono variare in un senso o in un altro. Lasciando magari aperta la porta a inserimenti delle missioni in finanziaria o impegni futuri che vanno in una direzione piuttosto che in un’altra.
Anche le osservazioni del rappresentante Onu a Kabul, Tom Koenigs – che sarà ascoltato dal senato giovedì prossimo, il giorno dopo l’intervento a palazzo Madama del segretario generale del palazzo di Vetro Kofi Annan – sono usate più come pretesto per altre, diverse, operazioni di politica interna che ad «assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni» come recita l’articolo11 della nostra Costituzione. Il presidente della commissione difesa del senato, il riciclato di pietrista Sergio De Gregorio, per esempio, coglie le dichiarazioni di Koenigs per chiedere addirittura una maggior presenza degli italiani in Afghanistan. «Stavolta – sottolinea De Gregorio – oltre alla mia personale convinzione che la presenza italiana in Afghanistan vada rafforzata si aggiunge l’opinione istituzionale del rappresentante Onu, che invita i paesi partecipanti a far pesare maggiormente il loro impegno per il mantenimento della democrazia e la rinascita di quell’area». Opinione che trova sponda piena da parte dell’Udc, il cui responsabile difesa Francesco Bosi non usa giri di parole per spiegare l’atteggiamento che i centristi di Casini terranno in aula: l’annunciato sì al rifinanziamento delle missioni «dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’Udc ci ha visto bene». L’occasione «deve costituire un momento di larghe intese anche per poter riflettere su un possibile potenziamento delle missioni». Se non è il temuto «soccorso bianco» poco ci manca: è la creazione negli emicicli parlamentari di maggioranze variabili da radunare a seconda della convenienza. Palude potenzialmente deflagrante per entrambi i poli di cui le prossime, imponenti, liberalizzazioni ventilate da settori ulivisti del governo (e in parte dal ministro Bersani) su energia, università e servizi costituiranno il vero banco di prova. Fantasmi di palazzo o meno, anche il «movimento» si divide. Sfibrato dai «dubbi» e dai rapporti di forza parlamentari. Oggi alle 13 all’Hotel nazionale a Roma una vasta parte dell’arcipelago pacifista (Libera, Arci, Tavola della pace tra gli altri) si incontra con i parlamentari dell’Unione per discutere di Afghanistan e politica estera. Ci sarà il segretario del Prc Franco Giordano e sono stati invitati tutti i capigruppo di camera e senato. «E’ un incontro – spiega Gabriella Stramaccioni direttrice di Libera – delle associazioni che chiedono non solo una mozione parlamentare ma l’apertura di una via d’uscita concreta dall’Afghanistan. Prendiamo atto della riduzione del danno ma per noi occorre rilanciare le iniziative per il ritiro».
Un’altra assemblea, «autoconvocata», si terrà sempre a Roma sabato prossimo. La stanno organizzando parlamentari cosiddetti «dissidenti» come Mauro Bulgarelli (verdi) e altri. Per Bulgarelli, «le richieste del rappresentante Onu sulla guerra contro i talebani sono più adatte a una dichiarazione di guerra che a forze di interposizione neutrali». Parole giudicate «gravi» che rafforzano la sua contrarietà al rifinanziamento delle missioni.