Un enorme campo minato. E stavolta non è una metafora. Migliaia di mine disseminate su un fazzoletto di terra, bombe a frammentazione inesplose. Mappe dei campi minati non aggiornate, razzi da disinnescare celati tra le macerie delle 15mila case
distrutte nei 34 giorni di guerra. È il Sud Libano, dove dovrà dispiegarsi la forza multinazionale Onu. Malgrado una massiccia campagna di informazione da parte dell’esercito libanese, le bombe a frammentazione inesplose hanno provocato già numerose vittime tra la popolazione civile, in particolare bambini. «Tutti i giorni veniamo a conoscenza di nuove vittime e in un gran numero», rileva Dalya Farran, portavoce del Centro di coordinamento dell’azione anti-mine delle Nazioni Unite (Macc) a Tiro. «Noi siamo in una situazione di emergenza», avverte. Dalla fine dei combattimenti, il 14 agosto, le bombe a frammentazione hanno ucciso 11 persone e provocato il ferimento di altre 43, in maggioranza bambini, secondo l’ultimo bilancio fornito ieri dall’esercito di Beirut. L’altro ieri tre soldati libanesi sono stati dilaniati dall’esplosione di una bomba che cercavano di disattivare nel villaggio di Tebnin, a 15 chilometri dalla frontiera con Israele.
Secondo il Macc, migliaia di bombe inesplose sono disseminate sul suolo libanese. Tra le bombe più utilizzate dall’esercito israeliano sono le Blu-63 e le M-77, che all’impatto con il terreno disperdono per un raggio di centinaia di metri altri ordigni esplosivi, molti dei quali sono inesplosi; 185 bombe a frammentazione sono state ritrovate da una squadra di sminatori che sta tentando di bonificare il territorio per rendere più sicuro il rientro nei villaggi e nelle città del Sud Libano di decine di migliaia di sfollati. «La maggioranza di questi ordigni non è esplosa», sottolinea Dalya Farran. Un pericolo grave, che investe la sicurezza stessa dei «caschi blu» che saranno impiegati nell’Unifil 2. Queste bombe, molte di piccole dimensioni ma dagli effetti devastanti, hanno trasformato «le case della gente in veri e propri campi minati», denuncia Marc Garlasco, analista militare dell’Organizzazione non governativa, con sede centrale a New York, Human Rights Watch (Hrw). La città che più è stata trasformata in un campo minato, spiega Garlasco, e Naqura, dove l’esercito e l’aviazione israeliani hanno fatto uso massiccio di bombe a frammentazione. «Gli israeliani hanno utilizzato gli stocks dell’epoca del Vietnam con un numero incredibilmente elevato di ordigni che non sono esplosi. Noi ne abbiamo ritrovati diversi che datavano marzo 1973», aggiunge l’analista di Hrw. «Queste munizioni d’artiglieria non esplose rappresentano un enorme problema», conclude Marc Garlasco. «Si tratta principalmente di bombe a frammentazione che si trovano dentro le case, nei campi, sui tetti degli ospedali e sulle principali arterie stradali di circolazione», annota la portavoce del Macc. Farran sottolinea la mancanza di personale e di strumenti necessari per individuare e disinnescare le migliaia di bombe inesplose. «Il terreno non è completamente bonificato – rimarca ancora la portavoce del Centro anti-mine delle Nazioni Unite -. Noi abbiamo poco tempo e scarso materiale». Tra gli osservatori Onu di Unifil 1 vi è anche una squadra di sminatori cinesi; troppo poco per far fronte all’emergenza mine e bombe inesplose. A rendere ancora più «esplosiva», e anche questa non è una metafora, ci pensano le 450mila mine a tutt’oggi «piantate» da Israele dopo il suo ritiro nel maggio 2000: 450mila mine disseminate su una fascia di territorio che corre lungo la «linea blu», che delinea l’attuale frontiera tra il Libano lo Stato ebraico, e che va dalla cittadina di Naqura a quella di Shebaa, da ovest a est. In questa regione frontaliera vivono 500mila persone.
Ieri, intanto, ai confini con Israele sono stati sepolti i resti di 23 persone, tra cui 14 bambini di età compresa tra i due e i 14 anni, sono stati in un campo appena fuori del villaggio di Marwahin, a pochi km dal confine con Israele. Si tratta di sfollati dallo stesso villaggio, morti 40 giorni fa, il 15 luglio, mentre tentavano di sfuggire ai bombardamenti israeliani sul Sud del Libano. Alla cerimonia, un funerale collettivo, hanno partecipato il ministro dell’istruzione Khaled Kabbani e diversi rappresentanti delle comunità sunnita, cristiana e sciita, tra cui alcuni esponenti del movimento Hezbollah.