Sulla Finanziaria, intervento in Commissione Bilancio della Camera

La manovra è certamente cospicua. Sfiora, come sappiamo, i 35 miliardi di euro, ma l’importo esatto sarà possibile conoscerlo solo quando il provvedimento verrà licenziato. La dimensione discende da alcune impostazioni iniziali. In particolare, la ribadita necessità di scendere al 2,8% per quanto riguarda il deficit. Questo obiettivo, infatti da solo comporta lo stanziamento di circa 15 miliardi di euro. Si tratta di una scelta sulla quale come rifondazione comunista abbiamo espresso delle riserve. Volevamo infatti una manovra meno pesante oppure una sua distribuzione su almeno due anni. Non è stato possibile. A tale proposito si potrebbe discutere su come sono stati gestiti i rapporti con l’Unione europea in questa fase. Peraltro, l’atteggiamento tenuto dalle autorità comunitari, è apparso molto più rigido che in passato, anche nel confronto con quello a suo tempo tenuto con altri paesi. Penso inoltre che si poteva – anche rispettando il vincolo del 2,8% – ridurre l’entità della manovra in ragione della crescita che si è avuta sul fronte delle entrate. E’ evidente che alla fine è prevalsa una impostazione ispirata alla ricerca di comprimere quanto più è possibile il debito, ma non è detto che tale scelta sia la più avveduta. Mi auguro comunque che in futuro ci si muova su una linea più cauta. Ho già sottolineato, in occasione del DPEF come una rapida compressione del debito reca con sé effetti depressivi oltre che – inevitabilmente – un minor impegno sul fronte dell’equità.

Ad ogni modo, entrando nel merito, vorrei esprimere alcune valutazioni sull’impostazione complessiva. Premetto che non condivido i rilievi critici esposti dalle opposizioni. Le opposizioni e alcune categorie economiche hanno contestato la proposta di politica economica contenuta nella finanziaria sulla base di alcuni giudizi. Ad esempio, si è polemizzato con la manovra fiscale, in quanto la si è giudicata vessatoria nei confronti di alcune fasce sociali, in particolare i lavoratori autonomi o la piccola e media impresa. Allineandosi con la Confindustria, ci si è richiamati all’assenza di politiche strutturali. E, implicitamente, si è chiesto maggior rigore nei confronti della spesa sociale, del sistema previdenziale, della gestione dei servizi pubblici. Alcuni hanno anche polemizzato con la scelta di destinare il 50% del TFR non optato all’INPS. Non condivido questo tipo di critiche per ragioni di merito, ma anche per la ispirazione che le sottende. Si potrebbe infatti obiettare che alla fin fine i provvedimenti di riordino delle aliquote IRPEF non fanno che ripristinare – e peraltro solo in parte – la progressività compromessa dai provvedimenti assunti a suo tempo da Tremonti, con la detassazione dei redditi medio-alti. Così sul piano dello stato sociale, abbaiamo già avuto modo di constatare anche in questa sede come la spesa sanitaria italiana sia in linea con quella degli altri paesi, come per la spesa previdenziale occorra tener conto di una serie di elementi ( dalla incidenza della spesa assistenziale, alla esiguità delle pensioni erogate, alla diversità dell’impatto psico-fisico delle varie professioni sulla durata e la qualità della vita).

I rilievi critici che possono essere espressi nei confronti della manovra sono invece – è la mia opinione – di natura diversa e per molti versi opposta a quella che ispira le opposizioni

Questa finanziaria ha il pregio di avviare una politica di redistribuzione del reddito. Per conseguire questo obiettivo ripristina parzialmente la tassazione sui redditi più alti e utilizza parte del taglio al cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti per accrescere gli assegni famigliari. Questa impostazione va sostanzialmente difesa. I suoi limiti stanno, piuttosto, in una serie di incongruenze che possono compromettere l’applicazione rigorosa del principio di progressività determinando alcune anomalie in alcune fasce di reddito, ma come è noto a questo il governo intende porre rimedio. Il problema, semmai, sta nell’entità dell’operazione che rischia di essere insufficiente rispetto all’obiettivo di intervenire efficacemente sull’enorme squilibrio esistente sul piano dei redditi. Voglio cioè dire che la perdita del potere di acquisto di salari e stipendi è stato così forte da richiedere misure ben più significative. Il problema principale, tuttavia, sta a mio avviso nel sovrapporsi di questi interventi con altri provvedimenti contenuti nella finanziaria che rischiano di vanificare la redistribuzione del reddito. E’ il caso dei previsti tichets sanitari, del possibile incremento della pressione fiscale locale derivante dai tagli ai trasferimenti agli enti locali. Vi sono poi altre misure che potrebbero determinare una contrazione dei redditi, come le eventuali revisioni degli estimi catastali. In quest’ambito non si possono dimenticare gli incrementi dei prelievi contributivi per i lavoratori dipendenti. Personalmente ritengo che nella discussione in sede parlamentare occorra intervenire al fine di evitare che questi provvedimenti possano comprimere i redditi. Credo pertanto che sarebbe opportuno eliminare i tichets sanitari, aumentare le risorse destinate agli enti locali, recuperare sul piano delle aliquote la quota di reddito perduta a seguito dell’incremento dei prelievi fiscali per le fasce a reddito medio basso.

Connesso alla questione dei redditi – ma rilevante in sé – è l’orientamento espresso in tema di stato sociale. Su questo punto personalmente voglio esprimere alcune riserve di segno opposto a quelle espresse dalle opposizioni. Sui tichets sanitari o sugli enti locali ho già detto. Vi sono tuttavia altri punti sui quali è opportuno intervenire. Si tratta di alcune questioni rilevanti per garantire uno stato sociale adeguato. Mi riferisco alla necessità che venga incrementato il fondo per i non autosufficienti, che venga potenziato l’intervento per gli asili nido, che venga sostenuto il fondo sociale. Sappiamo che in parte alcuni emendamenti sono stati approvati dalle commissioni competenti. Ciò è sicuramente positivo. Mi attendo ulteriori modifiche nel corso dell’iter legislativo, giacchè le modifiche fino ad ora apportate sono abbastanza esigue e su alcuni altri aspetti è necessario intervenire. Sempre sul fronte dell’intervento sociale, credo anche che vadano fugati i dubbi sui provvedimenti relativi alla scuola e che soprattutto vadano incrementate adeguatamente le risorse destinate a università e ricerca, che non solo sono palesemente inadeguate a garantire l’adeguato svolgimento di alcune funzioni, ma che, restando a questi livelli, impediscono di fatto ogni politica di innovazione.

Sul fronte dello stato sociale vi sono altre questioni che meritano di essere richiamate. A differenza di quanto sostengono alcuni ritengo che, per esempio, occorra tutelare i diritti in tema di previdenza. Fortunatamente, questa materia è stata stralciata dalla finanziaria e pertanto non ha senso qui trattarla. Ritengo comunque che quando si avvieranno le trattative con le parti sociali, in conformità al memorandum siglato dal governo, si renderà necessario procedere con grande cautela per evitare che vi sia un’ulteriore penalizzazione dei lavoratori. Su questo terreno è necessario che vi sia uno sforzo per affrontare con attenzione una questione sociale della massima importanza, tenuto altresì conto che i trattamenti, specialmente per i lavoratori dipendenti, sono allo stato attuale del tutto insufficienti. Un’altra questione merita di essere richiamata. Si tratta del DDL Lanzillotta che è stato agganciato alla finanziaria con l’appoggio essenziale di alcuni settori dell’opposizione. In questo caso un richiamo è del tutto pertinente. Penso sia stato un grave errore aver voluto collegarlo alla finanziaria e resto dell’avviso che debba essere stralciato. Si tratta, infatti, di un provvedimento destinato ad avere enormi ripercussioni e che per tanto richiede un attento esame parlamentare. Come è noto, infatti, con quel DDL si rende obbligatoria la messa a gara della gestione di tutti i servizi pubblici di rilevanza economica. Il risultato pratico di una simile disposizione sarebbe la rimessa in discussione di tutte – sottolineo tutte – le gestioni pubbliche in house o miste pubblico- private. E questo a prescindere dal fatto se tali gestioni siano efficienti o meno. Ritengo, a tale proposito, che la partita dei servizi pubblici locali debba rimanere di competenza delle autorità locali alle quali deve spettare la decisione sulle modalità di affidamento del servizio. Abbiamo già potuto constatare gli effetti di una disinvolta politica di privatizzazioni, sia per quanto riguarda le imprese industriali, sia per quanto riguarda quelle dei servizi. I risultati non sono stati lusinghieri e occorrerebbe quindi ripensare quella esperienza.

Un ultimo ordine di considerazioni riguarda la partita dello sviluppo. Nella manovra finanziaria diversi provvedimenti riguardano questa materia. Si tratta peraltro di disposizioni frutto di accordi fra governo e parti sociali. In alcuni casi si è giunti ad un accordo solo pochi giorni fa. Penso alla esenzione dal trasferimento all’INPS della quota non optata del TFR per le imprese al di sotto dei 50 dipendenti. Vi sono inoltre alcune disposizioni già contenute nello stesso programma dell’Unione, come il taglio del cuneo fiscale per quanto riguarda i contributi alle imprese o ad alcune misure per il Mezzogiorno, come la fiscalità di vantaggio. Si tratta di disposizioni che proprio in virtù di questo fatto sono difficilmente modificabili. In ogni caso, credo sia necessario sottolineare un limite delle misure assunte. Nella maggior parte dei casi, se si escludono alcuni provvedimenti come il credito di imposta per particolari investimenti, si tratta di interventi mirati alla riduzione del costo del lavoro. E’ vero che nel caso dei benefici derivati dal taglio al cuneo fiscale essi sono destinati alle imprese che occupano lavoratori a temo indeterminato e quindi tendenzialmente sono destinati a stabilizzare l’occupazione, ma si tratta di un criterio comunque inadeguato nel momento in cui si voglia perseguire una finalità di promozione dello sviluppo. E’ noto come le strategie imprenditoriali nel nostro paese hanno sempre puntato ad una riduzione del costo del lavoro, mentre per ciò che concerne la promozione dell’innovazione l’imprenditoria nazionale si sia caratterizzata per notevole pigrizia. Ciò vale per la bassa propensione all’innovazione di prodotto, alla mancata diversificazione produttiva, alla mancata crescita dimensionale. Per far fronte a queste necessità occorrerebbe muoversi nella direzione di interventi fortemente selettivi nell’erogazione delle risorse. Inoltre, io credo, sia necessario pensare ad un intervento diretto dello stato, almeno per ciò che riguarda i settori collocati sulla frontiere tecnologica. Di questo nella finanziaria non c’è segnale. Mi auguro che su questo tema vi sia un ripensamento da parte del governo.

In generale, se assumiamo i tre obiettivi indicati dal Ministro dell’economia fin dal DPEF – e cioè rigore, equità e sviluppo – mi pare che, fatto salvo il raggiungimento dell’obiettivo del rigore , dato dal raggiungimento del livello prescritto del deficit, sia necessario intervenire sugli altri due obiettivi e in particolare sull’equità. E’ da qui, a me pare – che passa la costruzione di un ampio consenso alla proposta d legge finanziaria.