SUL VOTO FRANCESE

Lettera pubblicata il 13.6.2002

Trovo insoddisfacenti i due articoli di D. Zaccaria (Liberazione, 11.6.2002) sul primo turno delle legislative in Francia. Dopo il primo turno delle presidenziali si erano lette pagine e pagine con dettagliate analisi e tabelle comparative, che trasudavano entusiasmo per l’exploit dei trotzkisti; dopo il primo turno delle legislative, che ha visto in poche settimane il tracollo dei medesimi, scompaiono le tabelle e l’analisi si fa reticente e sommaria, anche sulle cifre (come quando si titola : “Lutte Ouvrière e Lcr al 3%, Pcf al 4,3”, mentre LO e Lcr totalizzano il 2,4 e il Pcf 4,9). Si parla di un voto che non riserva “nessuna sorpresa”, come se il crollo delle tre formazioni trotzkiste (Lo, Lcr e Pt) che perdono in poche settimane ¾ del loro elettorato (dal 10,44 al 2,86%, da 2.973.000 voti a 738.000) non fosse degno di analisi attenta, o spiegabile come “flessione fisiologica legata alla natura dello scrutinio”. E si rimuove il fatto che quest’anno i tre gruppi trotskisti avevano 1.194 candidati nei 577 collegi (la sola Lutte Ouvrière era in 561), mentre alle legislative 1997 essi ebbero un risultato analogo -638.000 voti, 2,56%- ma con meno della metà dei candidati (576).
Non si spiega questo crollo (e qui non è Zaccaria a dirlo) col fatto che nelle elezioni presidenziali “prevale l’elemento identitario”, rispetto alle elezioni legislative “quando è in discussione l’efficacia dell’azione politica”. Un sondaggio di Libération (11.6.2002) rileva che “l’elettorato di Arlette Laguiller (LO) alle presidenziali si è totalmente disperso alle legislative : 21% è andato alla destra parlamentare, 25% ai socialisti, 10% all’estrema destra..”, a conferma del carattere mobile e per lo più di protesta, non certo identitario, di quel voto alle presidenziali. E non è serio minimizzare, come fa Zaccaria, dicendo che le formazioni trotskiste “non hanno mai fatto delle elezioni il fulcro della propria azione politica”: è un modo un po’ curioso di ragionare. I risultati elettorali contano solo quando confermano le proprie tesi?
Il Pcf ottiene 1.264.000 voti (4,9%) : + 304.000, + 1,5% rispetto alle presidenziali, contro i 2.455.000 voti (9,9%) delle legislative del 1997. Ciò non modifica il quadro di grave crisi in cui versa il partito. Ma resta più del doppio di tutti i gruppi trotskisti messi assieme, che Zaccaria definisce “la sinistra alternativa”, come se tutto il resto che c’è a sinistra fosse integrato. Il Pcf era presente con suoi candidati in 488 collegi su 577; nei restanti appoggiava fin dal primo turno altri candidati della sinistra (per evitare che la dispersione del voto, nei collegi in cui Le Pen è più forte, potesse escludere la sinistra dal ballottaggio). In 15 collegi dove il Pcf era meglio piazzato, erano socialisti e verdi a “desistere” fin dal primo turno. Si calcola che il “saldo” di questo accordo (a cui naturalmente tutti i gruppi trotskisti si sono rifiutati di aderire, non riuscendo a mettersi d’accordo neanche tra loro…: e questa sì “non è una sorpresa”) abbia penalizzato il Pcf di circa lo 0,5-1%, ma lo abbia favorito in termini di deputati. Quindi un Pcf attorno al 5,5-6% : una percentuale che dovrebbe esserci abbastanza familiare e che non consente di annunciare la morte prematura di un partito che può ancora trovare in sé, con le dovute e profonde correzioni di linea, le risorse per una ripresa politica e di identità, non solo elettorale.