Sul radicamento del partito nei luoghi di lavoro

La nuova maggioranza del Prc ha assunto una positiva ed importante decisione nel costituire un Dipartimento avente l’obiettivo del radicamento del partito nei luoghi di lavoro. Cogliere tale obiettivo non sarà facile, per diverse e pregnanti questioni ostative: primo, per il fatto che il mondo del lavoro è profondamente cambiato dal quadro dal quale sorse l’istanza leninista e gramsciana volta ad organizzare il partito comunista prioritariamente nei luoghi del conflitto capitale – lavoro; secondo, per il fatto che la mutazione del processo produttivo generale e la sua parcellizzazione è sostanzialmente sconosciuta alle forze comuniste e di sinistra, in virtù della sostanziale debolezza culturale post novecentesca di queste forze, non più inclini ad immergersi nella concretezza e nella materialità sociale; terzo, per il fatto che ormai da oltre un trentennio le forze comuniste italiane hanno rimosso e abbandonato, nella teoria e nella prassi, l’istanza organizzativa nei luoghi di lavoro; quarto, per il fatto che, conseguentemente, i quadri, i dirigenti e i militanti comunisti di oggi, deprivati di memoria storica da una lunga involuzione culturale, non hanno nel proprio corredo intellettuale e politico, nella loro cassetta degli attrezzi, l’attitudine e la pulsione all’azione per il radicamento comunista nei luoghi di lavoro, e per muoversi in questa direzione avrebbero bisogno di una forte spinta esterna alla propria, attuale, coscienza, oppure una forte e personale consapevolezza politico – teorica, costituitasi autonomamente nonostante la profonda involuzione della cultura comunista italiana; quinto, per il fatto che la stessa, centrale, contraddizione capitale-lavoro ha subito un decentramento nella nuova cultura della sinistra italiana, con la logica conseguenza che anche il radicamento nei luoghi della produzione, materiale e immateriale, venga sottovalutata.
Tuttavia, l’obiettivo di costruire l’organizzazione anche, ed essenzialmente, nei luoghi alti del conflitto capitale lavoro è così importante e decisivo per la stessa natura anticapitalista e di massa del partito comunista che il massimo impegno in tale direzione (seppur nella consapevolezza di essere in controtendenza rispetto a quell’attitudine generale essenzialmente volta ad un’organizzazione del consenso per via mediatica e non più sociale) va da tutti profuso.
E’ del tutto evidente che, di fronte alla scientifica cancellazione di tanta parte della cultura gramsciana ( operata dai gruppi dirigenti del Prc nell’ultimo decennio); di fronte alla rimozione pressoché totale delle Tesi di Lione e di quella parte delle Tesi che individuava – in contrasto con Bordiga – nel radicamento nei luoghi di lavoro l’istanza organizzativa principale e più avanzata del partito comunista, è del tutto evidente che rispetto a questo stato di cose occorre – per far ripartire un lavoro volto ad organizzare la presenza comunista nelle fabbriche, negli uffici e nelle università – una vera e propria rivoluzione culturale che passi come un vento nuovo nell’attuale e carente senso comune dei nostri quadri e dei nostri militanti.
Non sarebbe, da questo punto di vista, un lavoro accademico quello diretto a divulgare di nuovo (dopo decenni di censura e in forme non teologiche ma aperte alla ricerca e alla comprensione delle grandi novità produttive e sociali di fase) la sostanza teorica con la quale sia Lenin che Gramsci argomentavano la necessità dell’organizzazione comunista nei luoghi di lavoro.
Prima di Lenin, i partiti socialisti conoscevano una sola istanza organizzativa : la sezione territoriale. Lenin formulerà un’analisi sorprendentemente acuta ed avanzata di tali sezioni; esse – asseriva – sono luoghi avulsi dal conflitto capitale-lavoro, rappresentano sedi comuniste frequentate da avvocati, medici, piccoli imprenditori, operai. Sono sedi nelle quali l’istanza operaia e di classe spesso soccombe di fronte al fascino argomentativo ed intellettuale della piccola borghesia; sono sedi, dunque, destinate a divenire fucine di quadri esterni al conflitto capitale-lavoro; sono sedi nelle quali avviene la selezione e la promozione primaria dei quadri e dei rappresentanti istituzionali del partito, una selezione che premia gli iscritti provenienti dal lavoro intellettuale e dai ceti sociali più privilegiati e mortifica ed emargina quelli provenienti dal mondo operaio e del lavoro salariato. Sono sedi nelle quali – asseriva Lenin – si costituisce, per queste ragioni strutturali, una mediazione politica tra le varie istanze e soggetti sociali. Gramsci, soprattutto nelle Tesi di Lione, riassumerà completamente l’analisi e lo spirito leninista, adeguandoli alla situazione italiana dell’epoca. Né Lenin né Gramsci, tuttavia, saranno contro le sezioni territoriali, ma lanceranno con determinazione politica e teorica l’esigenza di costruire, a fianco delle sezioni territoriali, nuove forme organizzative, impensabili per le forze consunte della Seconda Internazionale : le cellule nei luoghi di lavoro. Attraverso tale nuova e rivoluzionaria istanza – asserivano – il partito comunista può giungere direttamente al cuore del conflitto capitale-lavoro; attraverso questa forma organizzativa può far crescere quadri comunisti operai, avviare una selezione dei dirigenti e delle figure istituzionali diretta a far avanzare – nel corpo del partito comunista – gli operai e i lavoratori e, dunque, un orientamento generale di classe, diminuendo i rischi di uno snaturamento culturale e di una deriva istituzionalista del partito.
Nel Partito comunista italiano l’influenza leninista e gramsciana – per ciò che riguarda questo aspetto organizzativo – durò, sempre più affievolita, sino agli anni settanta, per poi lentamente ed inesorabilmente estinguersi. Il Pci rimosse poi completamente, anche nei suoi statuti, l’istanza organizzativa gramsciana per tornare – come i partiti socialisti della Seconda Internazionale – ad una unica forma organizzativa : la sezione territoriale. Non è una forzatura – da questo punto di vista – asserire che il processo di socialdemocratizzazione del Pci fu speculare alla propria involuzione organizzativa.
Dopo tanti anni dalla nascita di Rifondazione Comunista possiamo, con cognizione di causa, affermare che l’involuzione organizzativa di stampo essenzialmente socialdemocratico dell’ultimo Pci è stata assunta in toto dal Prc e vani ( poiché deboli e sostanzialmente retorici) sono stati i tentativi di organizzare Rifondazione nei luoghi di lavoro.
La svolta a sinistra avvenuta al Congresso di Chianciano può fornire le basi materiali per una drastica inversione di tendenza, facendo recuperare al partito una coscienza ed una prassi dirette a costruire un’organizzazione più legata alla classe, al movimento operaio complessivo. Gli stessi compagni a cui è stato affidato il compito di dirigere il Dipartimento per il radicamento sono compagni affidabili, poiché hanno nelle loro corde culturali tale disegno. Si tratta di diffondere nei Circoli e nel senso comune dei nostri iscritti la coscienza piena del progetto. Si tratta di ricostruire quel senso culturale e politico d’avanguardia distrutto negli ultimi decenni. Un compito a cui tutti siamo chiamati, nessuno escluso.

* Direzione Nazionale PRC, in “Liberazione” 18 ottobre 2008