«Come i ladri nella notte», scherzavano i giornalisti americani descrivendo il viaggio compiuto da George W. Bush a Baghdad, ancora arrabbiati per esserne stati esclusi. Loro lo avevano visto partire in elicottero daCampDavid, dopola conclusione del «consiglio di guerra» tenuto nella «Casa bianca del weekend», e non avevano fatto caso che il presidente non era salito sul Marine One, il colorato elicottero presidenziale, bensì su un «normale » elicottero verde, che senza dare nell’occhio si è poi diretto, invece che alla Casa bianca, alla vicina base di Andrews dove lo aspettava l’Air Force one, anch’esso nascosto nel buio.Aparziale consolazione dei giornalisti esclusi c’era comunque il fatto che anche la maggior parte dei partecipanti al «consiglio di guerra» era stata tenuta all’oscuro delle intenzioni del capo. Che si sappia, gli unici ad esserne al corrente erano il vice Dick Cheney, il segretario di stato Condoleezza Rice e quello della difesa Donald Rumsfeld. Tutti gli altri presenti, compreso il fido Alberto Gonzales, il ministro della Giustizia, lo hanno appreso solo ieri mattina, ascoltando i notiziari delle tv. I pochi giornalisti «scelti» sono stati convocati non direttamente alla base di Andrews, come avviene di solito,ma in un oscuro albergo di Arlington, alla periferia di Washington. Appena arrivati è stato loro sequestrato il telefonino, il blackberry (il computerino portatile) e qualsiasi altra cosa che potesse consentire di comunicare con l’esterno. Perfino il primo ministro iracheno, Nuri Kamal al-Maliki, che si aspettava di vedere Bush a distanza, in una pubblicizzata videoconferenza, hasaputo dell’arrivo di Bush quando ormai l’Air Force One era quasi in vista dell’aeroporto di Baghdad – chiuso al traffico un’ora prima del suo arrivo – sul quale ha compiuto una discesa «a spirale», un po’ rischiosa ma ideale, dicono quelli che se ne intendono, per evitare di essere presi di mira. «Lieto di vederla», ha detto Maliki a Bush dopo essersi ripreso dalla sorpresa, in quella che una volta era la stanza di Paul Bremer, il viceré americano del post-invasione. «Grazie dell’ospitalità », ha risposto Bush, sorvolando sul fatto che la sua non era proprio una visita su invito. «Sono venuto non solo per guardarla negli occhima anche per dirle che quando l’America dà la sua parola lamantiene», ha detto ancora Bush bene attento alla presenza delle telecamere, visto che le sue parole erano dirette più che altro al pubblico «di casa», come del resto quelle che sono seguite: «Ho già espresso il desiderio nel nostro paese di lavorare con lei, ma apprezzo che lei riconosca che il futuro del vostro paese è nelle vostre mani». Insomma in un breve scambio di parole Bush è riuscito amettere insieme sia il suo famoso «manteniamo la rotta» sia la sua voglia di togliersi da quel pantano al più presto possibile, magari cominciando prima che le elezioni di novembre – a rischio per i repubblicani – abbiano luogo. Il «consiglio di guerra» a Camp David, del resto, a questo doveva servire, visto che ai convenuti Bush ha chiesto «indicazioni strategiche», anche se a conti fatti la sua celebrazione aveva comescopo principale quello di farsi vedere «attivo » e cogliere ilmomentumcreato dall’uccisione di Al Zarqawi, grazie alla quale è perfino riuscito a risalire di un paio di punti percentuali nell’indice di gradimento. Maliki naturalmente ha replicato di essere d’accordo col suo «benefattore», ha detto di non vedere l’ora che il suo paese riesca a «difendersi da solo» e poco dopo, quando Bush era già impegnato a «salutare le truppe» prima di ripartire dopo cinque ore trascorse a Baghdad, Maliki ha formalmente chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di rinnovare il«mandato di pace », cioè la finzione in virtù della quale anche i militari italiani sono stati mandati in Iraq.