Sul filo di una nuova crisi internazionale

Il braccio di ferro sul nucleare iraniano continuerà nei prossimi giorni, anche se ad occuparsene sarà il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e non più l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Gli schieramenti non hanno subìto, in queste settimane, particolari modifiche: da una parte Stati Uniti, troika europea (Gran Bretagna, Francia e Germania) ed Israele spingono per l’immediata approvazione di pesanti sanzioni; dall’altra la Russia che, grazie anche al sostegno cinese, continua a tentare la carta della mediazione, a partire da quanto disposto dallo stesso Trattato di Non Proliferazione, il quale consente lo sviluppo di tecnologia nucleare per uso civile. Il rinnovato impegno di Mosca in Medio Oriente, con l’obiettivo di raggiungere quello che il Ministro degli Esteri Lavrov ha recentemente definito “un approccio multilaterale a problemi essenziali quali l’ecologia, l’acqua, il controllo degli armamenti”, irrita non poco Stati Uniti ed Israele, come è emerso in occasione del recente incontro tra Putin ed Hamas e come dimostrano le risentite dichiarazioni del Segretario di Stato USA Condoleezza Rice rispetto a una ipotetica mediazione russa sul nucleare iraniano. Un fastidio, quello della Rice, che nasconde anche qualche timore.
La sorpresa forse più negativa giunge invece da New Delhi, dove il governo di centro sinistra presieduto da Singh ha chiuso lo scorso fine settimana un accordo di “partnership strategica” in campo economico e militare con Bush, aprendo così una pericolosa contraddizione rispetto al Programma minimo comune, che prevede il perseguimento di “una politica estera indipendente”, sottoscritto con il Fronte della Sinistra indiana, determinante per i delicati equilibri di governo,. Un’eventuale crisi sul nucleare iraniano potrebbe costituire l’elemento deflagrante, dal momento che il Partito comunista indiano-marxista e, con esso, l’intero Fronte di Sinistra, che sostiene il governo dall’esterno, non possono accettare una scelta del governo schiacciata sui diktat di Bush.
E’ importante comunque sottolineare che la maggior parte delle forze di sinistra, movimenti e governi progressisti nel mondo hanno assunto una posizione di netta contrarietà rispetto alla linea Usa nei confronti dell’Iran.
Fidel Castro, ricevendo dopo la metà di febbraio il Presidente del Parlamento iraniano Gholam Alì Kaddad Adel, ha ribadito ancora una volta che “Cuba appoggia il diritto dell’Iran a usare l’energia nucleare con fini pacifici”. Su posizioni del tutto simili si collocano il governo venezuelano ed il Partido Comunista do Brasil, prezioso alleato di Lula. Occorre ricordare, da questo punto di vista, che Cuba e Venezuela hanno votato contro, insieme alla Siria, al deferimento dell’Iran al Consiglio di Sicurezza dell’ONU anche nel precedente vertice dell’AIEA, così come si sono astenuti altri cinque paesi tradizionalmente vicini al movimento dei non-allineati e comunque in posizione critica rispetto alle pesanti ingerenze degli Stati Uniti in Medio Oriente (Bielorussia, Sudafrica, Indonesia, Algeria e Libia).
Viceversa alcuni paesi UE (Francia e Germania in particolare), che nella primavera del 2003 si erano schierati con decisione contro l’aggressione all’Iraq, hanno assunto, purtroppo, una posizione molto vicina al governo Usa.
In questo contesto delicato e complesso è davvero difficile tracciare i possibili scenari in caso di precipitazione della crisi relativa al nucleare iraniano, anche se non è azzardato ipotizzare, come giustamente sottolineato da Vittorio Zucconi su “La Repubblica” di ieri, un film già visto per l’Iraq nella primavera 2003. Vale a dire, uno scenario della prossima “guerra preventiva” ed uno dei tasselli della strategia USA di totale destabilizzazione del Medio Oriente.
Si sta infatti alimentando irresponsabilmente un pesante clima di guerra che ricorda l’operazione, orchestrata dal governo Usa, sulle armi di distruzione di massa in Iraq, rivelatasi completamente falsa, costruita a tavolino per imbrogliare l’opinione pubblica. Quelle armi non c’erano, ma serviva il pretesto per intervenire militarmente. Gli Usa, non contenti del disastro che hanno provocato in quel paese e in tutto il Medio Oriente, oggi sembrano decisi ad aprire un nuovo fronte di guerra utilizzando gli stessi metodi. A conferma di ciò, vanno considerate le gravissime dichiarazioni rilasciate ieri al Congresso Usa da Condoleezza Rice che indicano l’Iran come nemico numero uno.
Molti governi dell’Occidente sono schierati contro l’Iran, mentre nulla si dice sull’imponente numero di armi nucleari in possesso di Israele. Così come risulta inaccettabile il metodo dei due pesi e delle due misure: l’India e il Pakistan, siccome sono alleati Usa possono dotarsi di armi nucleari, non così l’Iran. Anche noi auspichiamo una soluzione negoziata, che non costituisca però una resa per il popolo iraniano di fronte all’arroganza di Washington; una soluzione che non calpesti il Trattato di Non Proliferazione e che parta dalla pari dignità dei popoli, dei paesi e dei governi di fronte agli obblighi, ma anche al diritto internazionali.
Il prossimo 18 marzo saremo tutti in piazza in occasione del terzo anniversario della guerra in Iraq, per il ritiro immediato dei militari italiani e non solo. In questa situazione si aggiunge un altro obiettivo e cioè mobilitarci perché la follia della guerra preventiva e permanente di Bush sia bloccata in tempo e non si apra un nuovo conflitto con l’Iran che potrebbe far deflagrare tutto il Medio Oriente. Sarebbe bene che in piazza ci fossero tutte le forze dell’Unione, anche perché vorremmo sapere da loro, con chiarezza, come intendono affrontare questo problema che, non è escluso, potrebbe essere uno dei primi banchi di prova del futuro governo.