Sui recenti sviluppi in Siria

*Responsabile esteri e solidarietà internazionale PRC Toscana

Parto da una succinta ricostruzione degli avvenimenti che hanno determinato l’attuale assetto politico-istituzionale del Paese. In estrema sintesi:

– 1919: la Siria, già parte dell’Impero ottomano-turco, viene affidata alla Francia quale “Mandato” (un’ ambigua formula giuridico-istituzionale che sostanzialmente poneva il Paese oggetto di tale decisione in pressochè totale subordinazione alla potenza mandataria)

– 1926: rivolta popolare antifrancese, repressa duramente dall’esercito transalpino

– 1939: la Francia, del tutto arbitrariamente (ed esplicitamente in contrasto con la natura del “Mandato” ) amputa la Siria di due territori: l’Hatay ceduto alla Turchia (quale “prezzo” del proprio allontanamento dalla Germania e dall’URSS) e il Libano… totalmente autonomizzato da Damasco sulla base di “criteri” religiosi (presenza notevole dei cristiani)

– 1942: la Siria viene occupata dagli inglesi che la sottraggono al controllo del “governo francese collaborazionista di Vichì”

– 1946: la Francia si ritira dal “Levante” riconoscendo “due” stati, la Siria, appunto, e il Libano

– Per 20 anni la Siria conosce una relativa instabilità politica che sfocia nel 1966 nel putch militare organizzato dal partito Baaht (nazionalista pan-arabo socialisteggiante) il quale assume l’essenziale del potere

– 1967: “aggressione” israeliana e conseguente occupazione da parte dell’esercito di Tel Aviv delle alture del Golan

– 1970: dopo il così detto “settembre nero” (repressione giordano-hascemita dei palestinesi), che ha visto il governo siriano sostanzialmente impotente, con un nuovo putch militare viene sostituito Hel Al Atassi (leader della corrente radicale del Baath) con Hel Assad

– 1982: anche in seguito al successo della “rivoluzione islamista iraniana” (1979) si determina nel paese un primo ampio movimento d’opposizione con caratteristiche insurrezionali. Il moto verrà represso nel sangue dalle truppe lealiste al governo centrale (poco meno di 5.000 morti)

Nei primi anni di questo secolo la Siria conosce una crescita economica rilevante (economia “mista”: stato + capitale nazionale + capitale arabo con aggiunta anche di modesti, ma non insignificanti, investimenti stranieri). La “Guerra del Golfo”, inoltre, indebolisce totalmente lo stato arabo rivale, avversario di Damasco, l’Iraq di Saddam Hussein (anch’egli Baathista, ma di una frazione antagonista a quella siriana) rafforzando, almeno superficialmente, la posizione diplomatica della Siria che riesce, in quegli anni, anche a consolidare la propria influenza sul Libano (Grande Siria = Siria + Libano).

La morte del “Rais” (Afez Hel Assad) comporta la sua successione con il figlio, attuale Presidente, Bashir Hel Assad, il quale dovrà affrontare i tumultuosi cambiamenti innescatesi nella regione, nonché la rinnovata pressione “occidentale” ed israeliana.

Una delle contraddizioni più forti del regime “baahtista” siriano è l’egemonia politico-istituzionale della minoranza sciita-alauita (circa il 15/16% della popolazione) rispetto alla netta maggioranza islamico-sunnita (circa 80% della popolazione, il resto cristiani 3/4%, nonché 3./3.400 ebrei ancora presenti a Damasco città nella quale esiste, funzionante, una sinagoga).

Oltre a ciò il regime siriano è, ancora oggi, modellato, sostanzialmente, sullo schema dei paesi socialisti est-europei (già Democrazie popolari, ovvero RDT, Polonia, Cecoslovacchia, Bulgaria) che mantenevano un simulacro di pluralità partitica (definiti, ufficialmente, costituzionalmente “partiti fiancheggiatori”). Infatti in Siria esiste legalmente anche un Partito comunista, uno filonasseriano e, in parlamento, anche un non irrilevante numero d’Indipendenti senza partito. Tutti però interni, vincolati al “Fronte Patriottico Nazionale del Popolo Siriano”.

A quanto sopra va aggiunto il peso, rilevante, degli apparati (militare, politico-ideologico col Baaht, sicurezza, ecc…) che evidentemente rappresentano il “freno” per ogni mutamento razionale del regime stesso. Non è infatti un mistero che la volontà di “riformare” il sistema politico-istituzionale del Presidente in carica (Bashir Hel Assad) si scontra con la resistenza, fino ad ora passiva, del proprio entourage.

Per non girare attorno al problema politico centrale, ovvero il giudizio politico sugli avvenimenti in corso, voglio esprimere una serie di considerazioni che da una parte eliminino ogni, sciocca, ambiguità e dall’altra affrontino tutte le questioni inerenti e conseguenti/collegate

1) la partecipazione alle manifestazioni di massa, contro, sostanzialmente, il “regime”: sono troppe e troppo partecipate per essere liquidate come incidenti fomentati dall’estero, versione sostanzialmente fornita dalle autorità di Damasco. Il che non esclude, anzi, che vi siano interferenze, dirette ed indirette, esterne (Israele, USA, Francia, ecc…), ma scaricare la questione indicando soprattutto i nemici “esterni” appare del tutto strumentale a cercare d’evitare le questioni fondamentali che hanno, invece, natura, origine e forma essenzialmente “interna”

2) la situazione economica e sociale siriana non può essere comparata con quelle dell’Egitto di Mubarak né con quella della Tunisia prerivoluzione. Certo la Siria non è la Svizzera, ma non esistano né sacche di miseria, né problematiche rispetto ai bisogni primari della popolazione. Dunque la mobilitazione popolare contro l’attuale regime non ha, fondamentalmente, motivazioni socio-economiche, ma bensì politiche e di funzionalità sociale, cioè di mobilità, ruolo, funzione delle varie comunità che compongono la collettività siriana (musulmani sciiti-alauiti, sunniti, drusi, cristiani, ecc…). Abbiamo già detto/scritto che la componente sciita/alauita (meno del 15%) detiene l’essenziale del potere politico-istituzionale e ciò si ripercuote nelle carriere, nella dinamica economica e perciò sociale.

3) anche in Siria come negli altri paesi del Vicino Oriente e della sponda meridionale del Mediterraneo si è affermata una cultura sociale, scaturita anche dalla dinamica economica, sempre più insofferente nei confronti di un potere politico che indipendentemente dal colore e dallo schieramento, risulta, sempre, staccato, separato, sovrapposto alla grande maggioranza della popolazione

Sono per tanto soprattutto i “ceti” medi, medio-bassi della popolazione che avvertono sempre più pesantemente l’insofferenza per sistemi che, di fatto, li escludono dalle istituzioni politiche. Bisogna in fatti tener presente che una buona parte della popolazione giovanile è abbastanza istruita, ma non trova collocazione adeguata nel mercato del lavoro (assistito, ma non sufficientemente sviluppato).

A ciò si somma il fatto che il “regime” ha trasformato i diritti (conclamati) in privilegi e/o in concessioni del potere sulla base della manifesta “fedeltà” del singolo cittadino. Insomma un complesso di contraddizioni sovrastrutturali che non venendo affrontate politicamente, culturalmente finiscono per diventare alimento dei contrasti strutturali (comunità religiose d’appartenenza) e delle contraddizioni economiche che pur senza essere drammatiche esistono e pesano.

Da ciò, a mio giudizio, la tensione presente, alla quale il regime siriano non è riuscito a rispondere adeguatamente, scivolando in una logica repressiva, molto pericolosa proprio per il “regime” stesso. Detto ciò voglio anche, però, sottolineare che auspicare un crollo del regime o la rimozione dell’attuale Presidente Bashir Hel Assad potrebbe costituire un grave errore.

La Siria è uno dei pochi stati del Vicino Oriente collocato, ormai da “decenni”, in termini del tutto autonomi dai centri di potere “capitalistico-imperialisti”, è in ottime relazioni con l’Iran e, sia pur con contraddizioni e debolezze, uno degli interlocutori più fidati per la “causa palestinese”, senza contare la sua importanza quale stato amico degli Hezbollah e perciò dell’intero schieramento della sinistra libanese.

Infine non sottovalutiamo che il forte (relativamente alla regione) carattere laico del potere permette alle comunità “cristiane” (4% circa della popolazione) nonché alla piccola, ma significativa, comunità ebraica di vivere in tranquillità in questo paese arabo.

L’auspicio è che il Presidente Assad riesca ad assumere il potere, reale, necessario ad avviare un effettivo, serio processo di riforma politico-istituzionale che, svecchiando il regime, lo reimmetta in relazione positiva con quei numerosi e significativi settori che oggi alimentano il conflitto con le autorità.

Il positivo, recente, sviluppo dei rapporti con la Turchia del Premier Erdogan potrebbe risultare strategico per riannodare il dialogo con quei settori politici legati all’ Islam operanti in Siria e in tutto il Vicino oriente.

La soluzione, vera, effettiva, strategica dell’instabilità politica di questi stati (non solo della Siria) che, oltre a tutto, li rende relativamente fragili, deboli di fronte al nemico vero (l’asse USA-Israele) risiede nell’intesa fra forze politiche della “sinistra storica” (nazionalisti popolari radicali, progressisti socialisti, comunisti, ecc…) e l’espressione politica, matura, dei movimenti che hanno, storicamente e culturalmente, la loro matrice nel “Corano”.