Le tensioni nel centrosinistra, mano a mano che si avvicina il voto alla camera sulle missioni all’estero, invece di assopirsi sembrano aumentare. Tanto più che la settimana si concluderà con l’affollata assemlea di sabato mattina a Roma degli «autoconvocati contro la guerra senza se e senza ma». Tanto che se l’intesa parlamentare non sarà ratificata nella riunione di oggi dei capigruppo potrebbe essere addirittura necessario un vertice dei segretari a dipanare una matassa diventata quasi inestricabile.
La riprova più fragorosa la lancia da Bruxelles il ministro degli esteri Massimo D’Alema, che ai parlamentari romani non le manda a dire: «Se la politica estera non va bene il mio mandato è a disposizione». Il vicepremier chiude la porta a «stravaganze che non fanno parte del suo Dna» e lancia un avvertimento alle sinistre: «La politica estera italiana è chiaramente caratterizzata sulla base del programma, vi sono chiare novità e discontinuità. Siamo ora in attesa delle direttive del parlamento che sta discutendo una mozione».
L’altolà di D’Alema arriva dopo un lungo botta e risposta con l’europarlamentare Vittorio Agnoletto, che invitava il governo di centrosinistra a non scaricare sui partiti da sempre contrari alle missioni in Afghanistan tutte le responsabilità di tenuta della coalizione: «Della soluzione – dice Agnoletto – devono farsi carico tutti, visto che sull’Afghanistan non ci sono segni di discontinuità a partire dall’aumento dei fondi a Enduring freedom». Il confronto si è via via acceso, con D’Alema che lo ha concluso in modo molto secco con la minaccia delle dimissioni e con la constatazione che l’Italia «in Enduring freedom ha solo una nave di appoggio» e, in sostanza, chi è contro il coinvolgimento in Afghanistan «si muove fuori dal contesto internazionale, dalle Nazioni unite, dalla Nato e dall’Europa. Non è pensabile che l’Italia metta in campo una sua exit strategy».
La notizia è giunta nella notte come una bomba a Roma, proprio mentre i gruppi parlamentari di Ulivo, Verdi, Prc e Pdci erano riuniti a porte chiuse per discutere di Afghanistan e Dpef. Le riunioni sono ancora in corso mentre scriviamo ma a quanto pare il Pdci, riunito a Montecitorio nella notte, ha posto il veto alla mozione di indirizzo sulla politica estera a cui invece da oggi avrebbero dovuto iniziare a mettere mano i capigruppo dell’Unione. Il capogruppo del Pdci a Montecitorio, Pino Sgobio spiega che sulla mozione «ci sono grosse difficoltà», adombrando senza giri di parole la richiesta di un voto di fiducia che il governo finora non ha alcuna intenzione di chiedere.
Le sofferenze maggiori, però, si riscontrano anche e soprattutto tra i Verdi e Prc. I parlamentari del Sole che ride si sono riuniti ieri sera con il presidente Alfonso Pecoraro Scanio con la sola eccezione del senatore Mauro Bulgarelli, fin dall’inizio contrario a qualsiasi rifinanziamento della missione in Afghanistan. I parlamentari hanno votato un documento all’unanimità che riconosce i passi in avanti fatti nel decreto sull’Iraq e sulla riduzione del danno a Kabul ma chiedono al governo di «costruire un percorso che definisca tempi e modalità del disimpegno dall’Afghanistan insieme agli organismi internazionali» e il «superamento di Enduring freedom perché fuori dal mandato Onu come previsto nel programma dell’Unione». Anche Rifondazione si è riunita a porte chiuse. E il muro contro muro tra la maggioranza del partito e le minoranze non sembra essersi allentato nonostante l’intervento indiretto di Bertinotti (convinto che sia stato presentato un «provvedimento responsabile») e del ministro Ferrero, che definisce «delirante» l’ipotesi che il governo non possa contare sulla sua maggioranza.
Per tutta la giornata si sono susseguite voci sulle possibili mediazioni. Per Verdi e Prc l’intesa si potrebbe chiudere sulla mozione, che dovrebbe istituire la commissione di monitoraggio sulle missioni e impegnare il governo ad avviare negli organismi internazionali e presso la Nato il superamento della missione in Afghanistan e nel Golfo. I cosiddetti «dissidenti», però, non hanno alcuna intenzione di ritirare i propri emendamenti. Solo Salvatore Cannavò (camera Prc), ne ha presentati cinque, tra cui uno che sopprime «Enduring Freedom» e un altro che concede fondi alla missione Isaf a Kabul solo «in funzione della sua conclusione». Il fronte dei contrari alla guerra «senza se e senza ma» insomma si allarga. Visto che all’assemblea autoconvocata di sabato a Roma al centro congressi dei Frentani ci saranno, oltre agli ormai stranoti «dissidenti», anche tanti altri parlamentari, dalla sinistra Ds al Prc.