Su Gaza l’ombra di Al Qaeda

Pochi prestarono attenzione, lo scorso 21 febbraio, all’ammonimento lanciato sulle pagine di Haaretz dall’analista Nehemia Strasler al governo israeliano che in quei giorni annunciava dure misure di boicottaggio nei confronti del movimento islamico Hamas che meno di un mese prima aveva vinto le elezioni. «Se Israele continuerà ad imporre sanzioni e il boicottaggio politico (di Hamas) – mise in guardia Strasler – i gruppi estremisti come il Jihad Islami diventeranno più forti. E quando i palestinesi arriveranno alla conclusione che neanche Hamas e il Jihad riusciranno a migliorare la loro condizione, si rivolgeranno alle formazioni più radicali, ad Al-Qaeda».
A distanza di alcuni mesi, quell’avvertimento sembra trovare delle prime conferme. Il boicottaggio dell’Anp, l’isolamento di Gaza e Cisgiordania, l’impossibilità per l’esecutivo di Hamas di svolgere una effettiva azione di governo, sta facendo crescere la frustrazione in molti dei palestinesi che avevano votato per la lista islamica credendo che ciò avrebbe portato ad una soluzione e non all’aggravamento dei problemi. Senza contare la sfiducia sempre più diffusa nei Territori occupati verso Europa e Stati Uniti, pronti ad intervenire a sostegno e difesa di Israele ma ambigui ed esitanti quando in discussione c’è il diritto dei palestinesi a vivere in libertà ed indipendenza. Un clima che favorisce la radicalizzazione e che potrebbe aver già prodotto piccole cellule armate che criticano l’islamismo classico di Hamas, cugino di quello dei Fratelli Musulmani, e guardano ad Al-Qaeda con simpatia.
Prove inconfutabili non ci sono ma gli indizi sono molti, a cominciare dal rapimento il 14 agosto a Gaza dei due giornalisti della Fox News – l’americano Steve Centanni e il cameraman neozelandese Olag Wiig – rivendicato da una sigla sconosciuta, le Brigate del Santo Jihad. In questi ultimi anni i sequestri di stranieri da parte di gruppi legati in gran parte dei casi ad Al-Fatah non sono stati infrequenti a Gaza ma tutti si sono risolti nel giro di qualche ora perché motivati dall’ansia di sollecitare assunzioni o il pagamento di stipendi arretrati da parte dell’Anp. Niente di ideologico o rancore verso l’Occidente. Centanni e Wiig invece sono spariti nel nulla dopo il sequestro e si è saputo che erano vivi soltanto alcuni giorni dopo, quando i rapitori hanno diffuso un video nel quale i due giornalisti comunicavano le condizioni per il loro rilascio – la liberazione di prigionieri musulmani in carcere negli Usa – all’interno di una scenografia ben costruita simile a quella dei sequestri in Iraq.
Il gruppo ha liberato Centanni e Wiig il 27 agosto dopo averli costretti, sotto la minaccia delle armi, a convertirsi all’Islam. Il ritorno in libertà dei giornalisti aveva fatto parlare di una azione compiuta da sbandati dei Comitati di resistenza popolare se non addirittura di «collaborazionisti di Israele». Qualche giorno dopo, il 2 settembre, invece, le Brigate del Santo Jihad sono riapparse in un sito internet usato da gruppi che si ispirano ad Al-Qaeda per avvertire che «tutti gli stranieri non musulmani che verranno catturati a Gaza rischieranno di essere uccisi a meno che non si convertano all’Islam».
Parlare della nascita o della infiltrazione a Gaza di militanti di Al-Qaeda è ancora azzardato. Il docente e deputato Ziad Abu Amer, massimo esperto palestinese di movimenti islamici, ridimensiona il significato del rapimento dei due giornalisti. «E’ stata l’azione di elementi isolati», ha commentato. Più o meno simile il parere che ci ha dato il portavoce di Hamas Ghazi Hamad. Eppure girando per le strade di Rafah e Khan Yunis, non si può fare a meno di notare che la disperazione e il risentimento verso gli Usa per la condizione palestinese, crescono di pari passo coi dubbi verso le possibilità di successo di Hamas. «Abbiamo creduto nella democrazia ma quando abbiamo scelto un governo islamico George Bush, Israele e l’Europa ci hanno puniti. Ora a Gaza qualcuno pensa che l’unica soluzione sia quella di Osama Bin Laden: combattere per l’Islam», ci spiegava qualche giorno fa Abu Antar Al-Astal, un militante delle Brigate di Al-Aqsa (Al-Fatah) nella zona sud della Striscia. D’altronde, già sei mesi fa, lo stesso settimanale di Hamas, A-Risala, aveva riferito (9 marzo) che Al-Qaeda cominciava a raccogliere consensi a Gaza.
Il gruppo di Osama Bin Laden pur avendo dedicato in questi anni parte di suoi proclami alla «liberazione della Palestina», non ha trovato un terreno fertile nei Territori occupati dove il «Jihad globale» e il cosiddetto «scontro di civiltà e religioni» sono argomenti per i dibattiti televisivi mentre è forte la consapevolezza che la questione palestinese è frutto dell’occupazione militare israeliana e del colonialismo. Negli ultimi tempi però il numero due di Al-Qaeda, Ayman Zawahri, ha dedicato attenzione ai palestinesi non mancando di attaccare l’islamismo di Hamas e il nazionalismo laico dell’Olp, che evidentemente ritiene gli ostacoli principali alla diffusione del qaedismo in Cisgiordania e Gaza.
La scorsa primavera Zawahri ha puntato l’indice contro la partecipazione di Hamas alla vita politica all’interno delle istituzioni democratiche create dall’Olp e dall’Anp. Critiche ad Hamas erano giunte due anni fa anche da un noto ideologo dell’estremismo islamico, Abu Mohammed Al-Maqdisi, che in un articolo (www.tawhed.ws, 2004) aveva accusato Hamas di «essere solo entusiasmo» (Hamas in arabo significa «entusiasmo») in risposta alla condanna degli attentati di Al-Qaeda in Arabia saudita, fatta dal movimento islamico palestinese. Simili le considerazioni espresse da altri due noti ideologici del «jihad globale», l’iracheno Abu Anas Al-Shami e il saudita Abu Jandal Al-Azdi.
I dirigenti di Hamas da parte loro hanno preso le distanze da Al-Qaeda, ma oggi sono in difficoltà, incapaci di aggirare l’isolamento politico ed economico dei Territori occupati, ed appaiono più deboli di fronte all’urto mediatico di Al-Qaeda.