Striscia di Gaza, primi aiuti per una popolazione al collasso

Era andata a farsi curare in Egitto Muna Ismael, una ragazza con la carta d’identità targata “Gaza”. Aveva subito un’operazione all’addome perfettamente riuscita. Anche Hamza Taleb, un bambino di 18 mesi, boccheggiava tra la stessa folla in cui era stipata la ragazza. E’ morto per un colpo di calore, mentre Muna non ce l’ha fatta perché ancora convalescente si è ritrovata schiacciata tra migliaia di corpi umani lasciati ad arrostire in attesa di poter tornare a casa. Secondo la Croce rossa internazionale nella zona di confine tra Gaza e l’Egitto sono ammassate tra le 3 e le settemila persone. Di queste, 578 sono considerati casi umanitari urgenti.
I raid aerei di ieri su Gaza hanno provocato otto vittime tra i civili. Tra questi anche tre adolescenti che per curiosità si erano avvicinati ad una base di lancio di missili qassam a Beit Hanoun (nord). Un ragazzo di 12 anni è invece rimasto gravemente ferito.

Di fronte alla violazione quotidiana dei diritti umani della popolazione intrappolata a Gaza, ieri sei organizzazioni israeliane impegnate nella difesa dei diritti umani (Civil Rights, Medici per i diritti umani, HaMoked, B’Tselem, il comitato pubblico contro la tortura e Gisha – Centro per la protezione legale della libertà di movimento) hanno presentato una petizione all’Alta corte israeliana.

Per far fronte alla grave situazione umanitaria ieri mattina l’Unione europea ha trasferito nella Striscia (attraverso il valico di Eretz aperto per consentire la fornitura di beni di prima necessità) le scorte di carburante necessarie a rimettere in funzione i generatori delle strutture ospedaliere di Gaza, senza elettricità in seguito alla distruzione di sei centrali elettriche, obiettivo di raid dell’aviazione israeliana. La fornitura di carburante era stata esplicitamente richiesta dal presidente Abbas. Si tratta della prima azione concreta di sostegno stabilita nel quadro del meccanismo temporaneo internazionale di aiuto ai palestinesi, stabilito nelle scorse settimane.

Anche la cooperazione italiana è intervenuta con uno stanziamento di 1,5 milioni di euro in aiuti umanitari in favore della popolazione civile palestinese «per far fronte ad una situazione che tutte le agenzie umanitarie definiscono vicina al collasso», come annunciato ieri dal vice ministro degli Esteri Patrizia Sentinelli, che ha inoltre riferito di attività dell’Unità tecnica del ministero dislocata a Gerusalemme volte a organizzare la fornitura di farmaci e presidi sanitari di cui vi è assoluta necessità negli ospedali della Striscia di Gaza, per un primo importo di 200mila euro. «Il materiale dovrebbe essere consegnato tra circa una settimana con una colonna di mezzi scortata dai veicoli del consolato generale di Gerusalemme», ha spiegato il viceministro, che ha aggiunto che la Palestina «deve essere una priorità del governo in modo da arrivare all’obiettivo per cui da sempre ci battiamo e che consiste nella definizione di due popoli e due Stati».

Intanto l’operazione militare israeliana “Pioggia d’estate”, in corso nella Striscia è destinata ad intensificarsi. Lo rivela il quotidiano Haaretz anticipando quanto deciso in nottata dal premier israeliano Ehud Olmert. Olmert riunito con il ministro della Difesa, Amir Peretz e con gli ufficiali delle forze di difesa e dello Shin Bet ha ufficializzato la decisione di espandere l’operazione in corso precisando che Israele non ha intenzione di far cadere il governo di Hamas, benchè lo consideri «legato al terrorismo», ma non può neanche piegarsi allo scambio di prigionieri per il rilascio del militare Shalit.

La soluzione dei “due popoli, due Stati” secondo il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, sarebbe implicitamente stata negata dalle dichiarazioni che il premier palestinese Haniyeh ha diffuso attraverso il quotidiano statunitense Washington Post. Benché la formula di due Stati, israeliano e palestinese, sia condivisa dalla comunità internazionale, da israeliani e da palestinesi, ha detto la signora Livni, «non tutti intendono la stessa cosa». La costituzione di uno Stato palestinese, ha affermato, deve rimuovere dall’agenda internazionale la questione palestinese e come Israele ha accolto i profughi ebrei da tutto il mondo così lo stato palestinese dovrà risolvere pienamente la questione dei profughi palestinesi del 1948. «La salita al potere di Hamas», ha detto ancora Livni, «non ci lascia alla questione di dove debba passare il confine ma ci riporta al 1948», concludendo che ciò «vuole dire che non c’è riconoscimento dell’esistenza stessa di Israele».

Nel testo pubblicato dal Washington Post Haniyeh scrive che non ci sarà pace permanente in Medioriente se Israele non accetterà di trattare con i palestinesi partendo dal 1948 e dai diritti sulla terra. Ma anche che le condizioni primarie per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese sono la restituzione delle terre «rubate» nel 1967 e la creazione di uno Stato palestinese nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.

Haniyeh, scrive inoltre che l’operazione militare israeliana in corso è solo «l’ultimo sforzo per distruggere il risultato delle libere elezioni tenutesi all’inizio dell’anno», ed è la conseguenza esplosiva di 5 mesi di una campagna di guerra economica e diplomatica condotta dagli Stati Uniti e da Israele.