I familiari delle vittime della strage di Cefalonia hanno manifestato ieri davanti al palazzo di giustizia di Monaco. Chiedevano la riapertura del procedimento che vede indagato il sottotenente Mühlhauser. Il 24 settembre 1943, al comando di un plotone d’esecuzione, Mühlhauser fece fucilare 137 ufficiali italiani. A luglio la procura ha disposto l’archiviazione con una motivazione indecente: i cinquemila italiani massacrati su quell’isola dello Ionio non sarebbero stati «normali» prigionieri di guerra, ma «traditori».
Contro l’archiviazione pende un ricorso presentato da Marcella De Negri, figlia di un capitano fucilato. Dunque la partita giudiziaria non è chiusa. La signora De Negri, accompagnata dagli avvocati Gilberto Pagani e Michael Hoffmann e da una delegazione italiana, ha avuto modo di spiegare alla stampa le ragioni che imporrebbero un rinvio a giudizio. E ha avuto modo di parlarne davanti al palazzo di giustizia di Monaco. Non c’era una grande folla, forse una cinquantina di persone. Ma per Marcella De Negri è stato un sollievo vedere tra loro tanti giovani tedeschi.
A Cefalonia la divisione Acqui si oppose ai tedeschi che ingiungevano la consegna delle armi. Più di mille caddero in combattimento. Alla resa si giunse solo in seguito all’afflusso di rinforzi tedeschi. E fu il massacro per quegli uomini, ormai disarmati. Il comando della Wehrmacht, in nome di Hitler, aveva trasmesso l’ordine di «non fare prigionieri italiani, considerando il vile comportamento da traditori tenuto a Cefalonia».
Non stupisce che Hitler considerasse «tradimento» la resistenza opposta da soldati che Mussolini, con lo sciagurato asse Roma-Berlino, gli aveva infeudato. Sbalordisce invece che la tesi nazista del «tradimento» italiano si ritrovi nell’ordinanza con cui il procuratore August Stern ha disposto il 27 luglio l’archiviazione.
La fucilazione di prigionieri è sempre un crimine. Ma per il diritto tedesco è decisivo stabilire se si sia trattato di un omicidio aggravato da «vili motivi», che non si prescrive. Se le aggravanti non ricorrono – e questa è la tesi del procuratore – l’omicidio cade in prescrizione dopo vent’anni.
Nell’ordinanza Stern scrive: «I militari italiani non erano normali prigionieri di guerra. Da alleati divennero acerrimi nemici e quindi, secondo la terminologia militare, ‘traditori’. Il caso è sostanzialmente analogo a quello di truppe tedesche che abbiano disertato e si siano unite al nemico. Un’esecuzione per tale comportamento non potrebbe essere considerata come omicidio per vili motivi».
Dall’Italia, insieme a Marcella De Negri, erano venuti ieri a Monaco i senatori di Rifondazione comunista Cladio Grassi e Josè Del Rojo, Orietta Coltellacci dell’Anpi, Primarosa Pia dell’Aned, l’associazione degli ex deportati, Costantino Ruscigno, dell’associazione dei familiari della divisione Acqui.
«Vorrei che anche il governo Prodi si unisse a noi – ha concluso la signora De Negri – per chiedere al governo tedesco una pubblica dissociazione dalla tesi del ‘tradimento’ italiano».