Storia di un anno di ferocia contro i profughi

I richiedenti asilo in Italia hanno vissuto il loro anno peggiore.
In violazione del diritto umanitario internazionale, lo Stato italiano nel concreto non fa differenza tra gli stranieri giunti per cercare un lavoro, e gli stranieri fuggiti da situazioni di guerra o perseguitati per motivi etnici e politici. Entrambi i gruppi, (costretti alla clandestinità visto che per la Bossi-Fini il migrante dovrebbe essere in possesso di un contratto di lavoro prima di varcare le nostre frontiere), subiscono un trattamento da criminali.

Il senso del decreto attuativo della Bossi-Fini – che il 21 aprile 2005 fece entrare in vigore le norme sull’asilo – è chiaro: chi entra in Italia illegalmente e aspira allo status di rifugiato viene rinchiuso in un Centro di Identificazione. Peccato che a tutt’oggi ne esistano solamente 3 (a Foggia, Trapani e Crotone). Negli altri casi, i centri di identificazione coincidono con i Centri di Permanenza Temporanea (come quello di Lampedusa), dove i migranti “economici” e gli esuli sono costretti a subire le stesse angherie: promiscuità forzata tra uomini e donne, scarsa igiene, abusi da parte delle forze dell’ordine, violazione dei loro diritti.

L’Italia garantisce ai richiedenti asilo un rimborso di 17 euro al giorno, 500 euro al mese. Dopo 45 giorni, se lo status non è accordato, si procede all’espulsione. Norme dure, che riflettono una delle carenze più vistose: l’Italia è una dei pochi Paesi al mondo sprovvista di una legge organica sull’asilo.

L’esempio più vergognoso ce lo fornì Milano con l’epopea dei 287 esuli etiopi, eritrei e somali sfrattati da uno stabile di via Lecco che avevano occupato per difendersi dal freddo natalizio, nel 2005. Fuggivano dalla guerra, ma furono costretti a dormire al gelo, circondati dalle loro povere masserizie. C’erano anche dei bambini. La giunta Albertini aveva proposto una soluzione: «Si facciano imprenditori di se stessi».

L’Alto Commissariato per i Rifugiati (Acnur) nel suo ultimo rapporto denuncia una condizione preocuppante: i Paesi ricchi da anni scelgono di chiudere le porte ai richiedenti asilo. Un dato per tutti: il Canada e gli Stati Uniti dal 2001 al 2005 ne hanno accolti il 54% in meno, la Nuova Zelanda ha registrato un calo del 74%.

L’Italia non si sottrae a questa tendenza, contraria ai principi di accoglienza sanciti dalla Convenzione di Ginevra del 1951: nel 2005 ha esaminato 7mila richieste e ne ha accolte solo 358, il 5%. Anche il numero delle procedure è calato drammaticamente. In Francia, ad esempio, sempre nel 2005 sono stati 50mila gli esuli a chiedere asilo. Molti di più che nel nostro Paese. Le ong accusano l’Europa di porre ostacoli insormontabili ai potenziali rifugiati. Che spesso, nei Cpt, non hanno la possibilità di accedere alle procedure perché l’avvocato non arriva mai, perché l’identificazione è sommaria, perché vengono espulsi senza un motivo valido. Magari in Libia, dove il governo Berlusconi ha finanziato tre centri di detenzione destinati agli espulsi da Lampedusa. Le condizioni di queste carceri sono disumane: gabbie luride dove i migranti di ritorno vivono con poco cibo e poca acqua. Di qui sono transitati anche 109 eritrei considerati dei disertori e che, una volta rimpatriati, possono subire una condanna a morte. Che fine hanno fatto?

Il ministro dell’Interno Pisanu ha sempre opposto un diniego risoluto agli organismi internazionali, al Parlamento Europeo e alle ong che chiedono il registro delle espulsioni nei Cpt, il registro di convalida della detenzione (che per legge dovrebbe giungere entro le 48 ore dall’arrivo) e le liste di identificazione, con i nomi e i cognomi dei migranti privati della libertà. Non ci sono. E fra loro, mischiati, ci sono i perseguitati, quelli che l’Italia dovrebbe accogliere perché se tornassero indietro nel proprio Paese verrebbero ammazzati. Ma nessuno nota la differenza.