Si riunisce oggi a Roma l’assemblea «Stop precarietà ora». L’appuntamento è alle 10 al teatro Brancaccio. E’ una fase molto delicata: potrebbe nascere un movimento – in parte già attivo in modo frammentato – che rigetta sistematicamente una delle peggiori piaghe della nostra società, la precarietà del lavoro. Al movimento aderiscono grandi organizzazioni del paese, piccoli gruppi, singoli: si va dalla Fiom all’Arci, dalla Funzione pubblica e Flc Cgil ai Cobas e al Sult, da Attac a Legambiente, fino ad associazioni come Libera, Antigone, Attac. Gruppi che hanno «funzionato» più o meno bene nel dialogo sulla pace, e che adesso sono alla prova del nove sul lavoro. Ci sono anche parlamentari che fanno parte della maggioranza di governo, da Rifondazione comunista ai Comunisti italiani, alla sinistra Ds, in cerca forse di quel nuovo profilo che potrebbe unirli dopo la definizione del costruendo partito democratico, poco intenzionato a dare attenzione al mondo del lavoro.
Il nodo dell’assemblea è individuato innanzitutto su una parola d’ordine: abrogare le tre leggi che hanno precarizzato il lavoro e la vita degli italiani e dei migranti: la Bossi-Fini, la riforma Moratti, e la legge 30. Tre normative varate dal governo Berlusconi, che purtroppo l’attuale governo non si dispone a cancellare. Ovviamente, c’è anche una serie di proposte positive: da costruire rovesciando il paradigma. Non mettere più al centro l’impresa e il mercato (come fanno le tre leggi, ciascuna nel suo «ambito» di pertinenza), ma le persone e i diritti. Il lavoro, da questo punto di vista, è un nodo centrale. Il salario, che permette una vita degna e libera, e la stabilità, vero perno della sicurezza nel futuro.
Ma ci sono differenti punti di vista nel movimento che sta per nascere, e il dialogo non sarà facile. Non solo sugli obiettivi della lotta (a parte l’abrogazione delle leggi, condivisa da tutti), ma soprattutto nel rapporto con il governo.
Ci sono infatti parti più vicine all’esecutivo dell’Unione – per quanto critiche – e altre più antagoniste. I sindacati confederali e quelli di base. Movimenti come quelli di Luca Casarini, oggi presente all’assemblea, che insistono più sul salario sociale che non sul reddito da lavoro. Realtà come la Fiom e la Cgil sono basate sulle garanzie del tempo indeterminato, sulla valorizzazione del salario da lavoro e dei conflitti legati al lavoro. Sindacati come i Cobas, o altri pezzi di movimento, guardano anche alla «precarietà di vita», ritenendo che la società debba assicurare un reddito indipendente dal lavoro, per il solo fatto di essere cittadini.
Abbiamo sentito Luca Casarini: «Qualche giorno fa, in un’assemblea di 700 persone a Verona – racconta – abbiamo creato il movimento Invisible workers of the world, fatto di migranti, studenti, precari. Non ci illudiamo di venire all’assemblea di Roma e dire “la pensiamo tutti allo stesso modo”, ma abbiamo deciso di partecipare perché il punto di partenza è l’abrogazione delle tre leggi. Vediamo che ci sono, tra i firmatari, parlamentari e sindacati “ufficiali”: ci fa piacere che dicano no a quelle leggi, ma non vorremmo che si sfociasse in nuove logiche di concertazione. Noi ci stiamo se si costruisce un conflitto vero, e se i metodi di lotta sono forti come quelli francesi, con blocchi metropolitani: il Cpe è stato ritirato non per semplici scioperi. La prova del nove, da questo punto di vista, per noi sarà la solidarietà a chi viene processato per i fatti del 6 novembre» (spesa «autoridotta» al supermercato, ndr).