Stiglitz divide il Nobel

Se sussistevano ancora dei dubbi circa l’emergere di un revival keynesiano negli ultimi mesi, l’Accademia delle scienze di Svezia che assegna i Nobel li ha fugati tutti. Ai “Nuovi Keynesiani” George Akerlof e Joseph Stiglitz (nonché all’economista di Stanford Michael Spence) è infatti spettato il premio Nobel 2001 per l’economia, “per i loro fondamentali contributi in tema di asimmetrie informative”.
Nel corso dell’ultimo ventennio le ricerche sull’informazione asimmetrica hanno contribuito allo sviluppo dei più svariati campi della teoria e dell’applicazione economica, dall’analisi delle organizzazioni industriali a quella dei mercati assicurativi. Ma è in ambito macroeconomico che la teoria delle asimmetrie informative ha fornito le novità più significative, consentendo di superare l’impasse nella quale era caduta, verso la fine degli anni ’60, l’interpretazione neoclassica della teoria keynesiana, la cosiddetta “sintesi” di Hicks, Modigliani e Patinkin.

Gli economisti della “sintesi” avevano infatti stabilito che la disoccupazione involontaria non costituiva (come riteneva Keynes) lo stato “normale” del capitalismo, ma solo il riflesso delle rigidità dei prezzi, dei salari e dei tassi d’interesse esistenti nel mondo reale. Essi tuttavia non erano riusciti a dare fondamento a quelle rigidità, ovvero a dimostrare che queste potevano derivare dal comportamento razionale degli agenti economici. Su tale debolezza avrebbe fatto perno, negli anni ’70, la critica di Friedman, di Lucas e degli altri esponenti del monetarismo e della nuova economia classica: per tali fautori di un ritorno al laissez-faire, se le rigidità non erano razionali allora non potevano sussistere, né quindi poteva esistere una cosa definibile come “teoria keynesiana”.
Nel bel mezzo dell’onda neoliberista degli anni ’80, Akerlof e Stiglitz decisero di reagire alle critiche anti-keynesiane. Assumendo che gli individui non dispongono tutti delle medesime informazioni, essi giunsero infatti a dimostrare che le rigidità dei salari, degli interessi e in generale dei prezzi potessero scaturire da comportamenti razionali. Riguardo al mercato del credito Stiglitz sostenne, ad esempio, che le banche non conoscono la rischiosità dei progetti d’investimento dei loro clienti, ma sanno soltanto che, al crescere dell’interesse richiesto dagli istituti di credito, la clientela più affidabile tende a rinunciare al prestito. Pertanto, le banche sono indotte a preferire un tasso d’interesse che non mette in equilibrio il mercato ma che consente loro di evitare la “selezione avversa della clientela”. Riguardo invece al mercato del lavoro, Stiglitz affermò che in genere le imprese non hanno una conoscenza perfetta del grado di impegno lavorativo dei propri dipendenti. Ciò le induce quindi ad offrire salari più alti di quelli che garantirebbero la piena occupazione, al fine di incentivare i lavoratori al massimo sforzo produttivo. Tale spiegazione, si badi, costituiva non soltanto una dimostrazione della razionalità di un salario rigidamente collocato fuori dal suo valore di equilibrio (cioè di pieno impiego), ma anche una prova del fatto che tale rigidità potrebbe dipendere dalle imprese e non necessariamente (come ritenevano gli anti-keynesiani) dall’azione dei sindacati.
Non tutti ritengono che Stiglitz e gli altri esponenti della sua scuola rappresentino i legittimi eredi del lascito keynesiano. Molti, ad esempio, hanno sostenuto che l’incertezza keynesiana si riferisce alla generale, diffusa impossibilità di prevedere il futuro, e che essa non potrà mai essere racchiusa nella pur ingegnosa trovata di Stiglitz, basata più semplicemente su una distribuzione non omogenea delle informazioni. Altri hanno invece chiesto, provocatoriamente, se Stiglitz sarebbe monetarista in un mondo privo di asimmetrie informative, ossia se soltanto a tali asimmetrie egli imputi la fragilità strutturale del modello neoclassico sottostante ai contributi di Friedman e Lucas.

Non vi è dunque consenso unanime sulla rilevanza dell’informazione asimmetrica per l’interpretazione della realtà economica. Le asimmetrie informative hanno tuttavia consentito agli esponenti della nuova economia keynesiana di riabilitare il concetto di equilibrio con disoccupazione, e di riaffermare quindi l’esigenza di un intervento pubblico di regolazione dei mercati. Un intervento pubblico che tuttavia dovrebbe esser ben ponderato e non strumentale. Stiglitz, non a caso, appena ricevuto il Nobel non ha mancato di sferrare un duro attacco al “finto keynesismo” dell’Amministrazione Bush, dedita a garantire sgravi fiscali che, anziché aiutare il paese ad uscire dalla recessione, determineranno soltanto ulteriori sperequazioni tra ricchi e poveri. Per Stiglitz la strada giusta per condurre l’economia americana fuori dal tunnel è una spesa pubblica volta al sostegno degli investimenti pubblici civili e delle categorie più deboli e svantaggiate, non certo al rilancio militare.
I nuovi Nobel per l’economia, insomma, non sembrano aver nessuna intenzione di far sconti all’amministrazione americana. Una boccata d’ossigeno, finalmente, dopo tanta ingiustificata compiacenza.