Davvero un pasticciaccio brutto, quello afghano. Ma se vogliamo cercare di dipanarlo converrà ricordare che è un paese molto povero, a struttura reticolare e tribale, che si adatta molto bene al terreno impervio e difficile da percorrere, quindi insieme indifendibile (dai passaggi attraverso i suoi aperti e incerti confini) e inattaccabile e impossibile da conquistare (ci hanno provato in molti, invano).
Già tutto ciò avrebbe dovuto sconsigliare dal cacciarsi nell’avventura, ma ormai è fatta e l’unica cosa ragionevole è cercare di cavarne i piedi. Al più presto, col minor danno e lasciando il minor danno possibile dietro di sé.
Naturalmente non è come dirlo, e lo dimostra ampiamente la terribile storia Mastrogiacomo, dalla quale appare che non ci si può fidare di nessuno, nemmeno di un governo “amico” (parlo di Karzai) e del presidente di uno stato sovrano, considerato democratico nonché sede ed esportatore per procura di democrazia, il cui ministro degli Esteri o della Giustizia osa rimproverare Emergency di curare anche (!) talebani feriti, invece di denunciarli. Si vede che non conoscono il diritto internazionale dal momento che è dal tempo della battaglia di Solferino e della guerra in Crimea che qualsiasi medico o infermiera cura chiunque sia in difficoltà. Insomma, manca nei nostri interlocutori il minimo requisito per un colloquio civile.
Naturalmente ciascuno sa che in casi di sequestri si tratta nelle condizioni date e secondo tradizioni nazionali ben consolidate e ciò che viene raccontato è sempre discosto dal vero anche se il vero si intravede comunque. Ad esempio che i marinai inglesi abbiano invaso le acque iraniane fu dichiarato da loro in una intervista resa nota solo dopo la loro liberazione, che facessero anche opera di spionaggio è evidente. Il tutto condito dal motto del nazionalismo inglese: ” right or wrong, my country “, e cioè, che abbia torto o ragione, è sempre il mio paese.
Non si può credere che Blair non abbia trattato; che miracolosamente alcuni “pericolosi terroristi” iraniani detenuti in Iraq dall’esercito USA abbiano recuperato la libertà è noto e fa intravedere una trattativa condotta alla grande e senza scrupoli. Invece di fare tanto gli scandalizzati per la pagliuzza nei nostri occhi, farebbero bene a badare alla trave che hanno nei loro.
Adesso bisogna fare pressione sul governo Karzai perchè molli il prigioniero di Emergency, o emetta un mandato con imputazioni precise, come si fa in uno stato di diritto: D’Alema non può cavarsela con quanto ha detto alla Camera. Ed è necessario tenere sempre presente che la situazione evolve. Il Senato USA per esempio ha deliberato che non esiste più la dizione “guerra al terrorismo” (che non si batte con la guerra, come ampiamente dimostrato), ma quella “guerra in Iraq, guerra in Afghanistan, minacce di guerra in Iran ecc.”. Questo cambia le cose in modo sostanziale, come è già stato rilevato da Furio Colombo sull’ Unità e da Sergio Romano su La Stampa .
Dalla guerra in Afghanistan men che mai si esce con la guerra. La domanda ripetuta ossessivamente: “come rendere i nostri soldati capaci di resistere in caso di estensione della guerra? mandiamogli più armi”, deve ricevere una risposta meno catastrofica: dalla guerra si esce attivando diplomazia, politica e servizi, cioè mettendo le basi per una conferenza internazionale cui prendano parte tutti gli attori del e nel conflitto. Tutte le scelte sono rischiose ma la più rischiosa è quella di alzare il livello dello scontro e mettere a disposizione più armi. Anche solo il paragone con il far west, o la libertà di possedere armi e tenerle in casa, ci dimostra che ciò aumenta sensibilmente il rischio di incidenti mortali. Inoltre- last but not least- l’invio di armi e il mutamento del rapporto con la popolazione afgana configura già una possibile violazione del dettato costituzionale, là dove, all’art 11, si dice che l’Italia “ripudia la guerra” anche “come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”. A proposito di “più armi”, su iniziativa di Fosco Giannini abbiamo rivolto insieme a Francesco Martone e Josè del Rojo un’interrogazione a Parisi per sapere se è vero quanto circola ormai da giorni: stiamo per inviare i mangusta? Vorremmo discuterne, con la Costituzione sullo sfondo a illuminarci.
Della trattativa previa fa parte anche la risoluzione del caso Emergency, con la liberazione del loro associato e il ristabilimento di condizioni tali che Strada e i suoi possano rientrare in Afghanistan in piena sicurezza. Non è stato molto chiaro D’Alema su Emergency: nel riconoscere i suoi meriti umanitari non ha speso una parola per respingere le accuse di essere una associazione collusa con i terroristi e perfino con Al Quaeda. Bisogna anche convincersi che Gino Strada può aver fatto le cose straordinarie che ha fatto, perché è straordinario ed è medico; se fosse stato uno straordinario insegnante non gli sarebbe stato consentito dai Talebani di restare sul territorio e insegnare.
Chiariamo dunque subito tutto ciò che si può chiarire subito e già si vedrà che nel campo dei sequestri vi è la massima continuità nella politica italiana. Al governo Karzai, quasi come condizione per ammetterlo alla conferenza, vale la pena di chiedere che molli il prigioniero o lo incrimini formalmente e soprattutto consenta che veda un avvocato e i suoi colleghi di Emergency: se lo incrimina però deve anche dire perché prima lo ha accettato come mediatore. Qualcosa non quadra e si desidererebbe saperlo: le pressioni che Karzai riceve dagli USA e dall’Inghilterra sono più forti delle nostre? Può darsi, ma bisogna che lo dica o lo lasci intendere. E’ pur sempre una violazione di sovranità.