Stati Uniti: Una famiglia piena di buffi

II dati sul Pil statunitense per il primo trimestre dell’anno erano superiori al previsto, indicavano che era ripartita la domanda di beni durevoli (auto, case), che cioè gli americani continuavano a spendere, e incoraggiavano a pensare che il pericolo di recessione fosse stato sventato; i successivi dati sull’aumento record della disoccupazione nello stesso periodo inducevano a ritenere il contrario.
Ma come potevano essere conciliabili i due dati? Come hanno potuto le famiglie Usa continuare a spendere tanto, se da un lato ai benestanti sono venuti meno i capital gains, a causa del calo micidiale di Wall street, e dall’altro lato i meno abbienti sono stati colpiti dai licenziamenti? Delle due l’una: o le autorità finanziarie Usa hanno manipolato i dati sul Pil (una pratica corrente in tutti i paesi, ma che negli Stati uniti raggiunge un virtuosismo degno di Fregoli), oppure gli americani hanno comprato sì, ma facendo buffi. In realtà sono verosimili tutte e due le ipotesi: a detta di molti esperti, il dipartimento del tesoro ha un po’ manipolato i dati per iniettare fiducia nel mercato (e si sa che le previsioni economiche sono del genere “autorealizzantesi”); ma nello stesso tempo gli americani hanno continuato a indebitarsi.
L’indebitamento è un carattere strutturale dell’economia americana. L’americano è “overspent”, come dice il titolo The Overspent American del bellissimo libro di Juliet Schor, docente di Women Studies di Harvard (Harper 1998). E l’America è una nazione che vive letteralmente a credito. Non solo in quanto a debito estero, il più alto del mondo. Da sempre le famiglie s’indebitano non solo per comprare la casa e la/e macchina/e: negli Usa per comprare casa, basta pagare in contanti solo il 7% del valore (dare 21 milioni per una casa da 300), sicché il debito che grava sulle famiglie americane a causa del mutuo per la casa unifamiliare ammonta a 4.376 miliardi di dollari (l’incredibile cifra di 10 milioni di miliardi di lire, dati del 1998).
A credito si compra tutto, dagli elettrodomestici al mobilio, dalle vacanze al ponte dentistico, per non parlare dei mutui colossali accesi per l’istruzione dei figli. Basti pensare che la retta di una buona scuola secondaria privata costa quasi 30 milioni di lire (14.000 dollari), quella di un’università più di 55 milioni di lire (25.000 dollari). Immaginate ad avere tre figli che studiano! Nel 1998 il debito totale delle famiglie Usa ammontava alla fantastica cifra di 6.250 miliardi di dollari e (pari al 74% del Pil, ma oggi, secondo stime, è salito ad oltre l’80% del Pil Usa, e cioè ben oltre gli 8.000 miliardi di dollari – quasi 20 milioni di miliardi di lire, nove volte il Pil italiano!) il servizio del debito risucchia il 18% del reddito disponibile delle famiglie.
Questa montagna di buffi condiziona tutti i comportamenti, persino la curva delle labbra e le espressioni del viso: più sei indebitato e più devi mostrarti fiducioso nel futuro. Prova a chiedere a un europeo la rituale domanda di cortesia: “Come va?”, e ti risponderà bofonchiando: “Così così”, “Non c’è male”, “Si tira avanti”, “Potrebbe andare meglio (peggio)”. Formula la stessa domanda a un americano, e la risposta sarà un immancabile sorriso accompagnato da “Great”, “Wonderful”, “Fine”, “Very good”: viene da sospettare che dietro tanta stereotipata soddisfazione di sé e del proprio presente si celi un modo per ubbidire all’ingiunzione di Benjamin Franklin che prescrive al debitore di tranquillizzare il creditore, perché “le azioni più irrilevanti influenzano il tuo credito”: “Il colpo del martello che il tuo creditore sente alle 5 del mattino o alle 8 di sera lo tranquillizza per sei mesi…”, dice Franklin in un passo reso celeberrimo da Max Weber nell’Etica prostestante e lo spirito del capitalismo. Ma Franklin intendeva il credito come un mezzo per investire e cioè produrre, mentre oggi s’indebitano per consumare.
Ma quest’ostentazione di fiducia nell’oggi nasconde l’ansia per il domani. Ho conosciuto dirigenti bancari con stipendi di oltre 125.000 dollari l’anno (al lordo delle tasse) che per mantenere il proprio trend di vita s’indebitano. Secondo un sondaggio, più del 20% di chi guadagna oltre 100.000 dollari (220 milioni l’anno) ritiene di “non avere abbastanza soldi per il necessario”.
S’innesca così una spirale al rialzo che nessuno può permettersi d’interrompere, pena la bancarotta dell’intero sistema Usa. Ecco perché le banche debbono continuare a concedere crediti anche se i loro clienti risultano insolvibili. Alla fine il salvataggio per queste sofferenze ricadrà sul governo federale, si risolverà in un deficit pubblico e in definitiva in debito estero: ma chi al mondo può rifiutare un prestito all’Impero?