L’America è in stato di emergenza permanente. Un paese pronto a sacrificare libertà e diritti individuali in nome della guerra al terrorismo. Lo denunciano nomi di primo piano della letteratura mondiale uniti nell’associazione “Pen”, nata 130 anni fa e oggi presieduta da Salman Rushdie. Di fronte al rinnovato vigore dei falchi della Casa Bianca nel corso del secondo mandato di George W. Bush, la sezione statunitense di “Pen” ha intensificato la mobilitazione contro le torture, le detenzioni arbitrarie e le restrizioni alle libertà civili. L’8 novembre a New York ha presentato “State of Emergency”, una serata di reading animata da quindici penne celebri tra cui Edward Albee, Paul Auster, Don DeLillo, Rick Moody e Nicole Krauss. Rushdie ha perfino interrotto il tour promozionale del nuovo romanzo Shaliman per partecipare all’evento.
Di fronte ad una platea di cinquecento persone, il drammaturgo Edward Albee ha evocato l’assassinio di Garcia Lorca, poeta sovversivo la cui morte, ha sottolineato, «ci insegna che se non impariamo dalla storia continueremo a ripetere gli errori del passato». La scrittrice chicana Sandra Cisneros ha recitato in spagnolo e in inglese Los Nadies di Eduardo Galeano, dedicata ai senza nome, i nessuno «che non hanno una cultura ma solo folklore, che non figurano nelle pagine di storia ma solo nella cronaca rosa della stampa locale». Alla fitta rete di rimandi alle violenze del passato, dalla dittatura cilena al Vietnam, si sono intrecciati brani su un presente nerissimo. Jessica Hagerton ha letto la testimonianza di un detenuto di Guantanamo costretto all’alimentazione forzata dopo qualche giorno di sciopero della fame. E del famigerato campo di detenzione ha parlato anche la giornalista spagnola Emma Reverter, autrice di Guantanamo, prisioneros en el limbo de la legalidad internacional (Guantanamo, prigionieri nel limbo della legge internazionale). «Sembra incredibile che State of Emergency coincida con la scoperta dell’esistenza di prigioni segrete della Cia e con le minacce di Bush di esercitare il diritto di veto su una norma che proibisce la tortura» ha dichiarato Rushdie nella sua efficace introduzione.
Negli stessi giorni infatti, una serie di eventi hanno infuocato le polemiche sugli abusi americani. Un articolo del Washington Post ha messo sotto accusa la Cia per la costruzione di una rete di gulag invisibili nei quattro angoli del pianeta, dall’Egitto alla Romania. Bush si è scatenato contro un emendamento proposto del senatore John McCain che vieta la tortura mentre il 10 novembre il Senato ha votato a favore di una norma che, se approvata in via definitiva, andrebbe in senso contrario alla sentenza della Corte Suprema del giugno 2004 secondo cui i tribunali americani hanno la giurisdizione per esaminare appelli contro la legalità della detenzione di cittadini stranieri.
L’altro tema chiave dell’agenda di “Pen” – la più antica organizzazione per i diritti umani e la prima associazione internazionale che unisce scrittori, editori e traduttori tra cui, in passato Thomas Mann, Arthur Miller e Susan Sontag – è quello della libertà di espressione e movimento. L’associazione si è unita all'”American civil liberties union” e all'”American association of university professors” in un causa legale volta a costringere il Dipartimento di Stato e la Cia a fare luce sul perché, dall’11 settembre ad oggi, è stato negato il visto d’ingresso a molti intellettuali e artisti non allineati alla politica guerrafondaia del governo. Il caso più celebre è forse quello di Tariq Ramadan a cui l’anno scorso non è stato concesso il permesso di soggiorno e dunque la possibilità di occupare la cattedra di un’importante università americana. Lo stesso è accaduto alla studiosa nicaraguense Dora Maria Tellez e, qualche settimana fa, a 61 intellettuali cubani invitati ad una conferenza di studi latino-americani a Las Vegas.
«Abbiamo deciso di procedere per vie legali per due motivi – afferma Michael Roberts, direttore esecutivo di “Pen American” – il primo è che siamo molto preoccupati del fatto che gli Stati Uniti stanno chiudendo le porte a studiosi e intellettuali per ragioni politiche. La seconda ha a che fare con l’allarme per il ricorso del governo alla segretezza sulle decisioni riguardo chi sia autorizzato a visitare gli Stati Uniti e a rivolgersi all’opinione pubblica». «Nel passato – continua il rappresentante del “Pen” – abbiamo lavorato in nome di scrittori e pensatori vittime dell’esclusione ideologica procurata dal McCarran-Walter Act (la legge che nel 1952 vietò l’ingresso negli Usa agli stranieri membri di partiti o movimenti comunisti, ndr). Nella lista nera c’erano Graham Greene, Pablo Neruda, Doris Lessing e Gabriel García Márquez. Come organizzazione impegnata nella promozione del libero scambio di informazioni, crediamo che impedire agli americani di ascoltare le idee di figure come queste sia stato un atto incostituzionale e immorale».