Joshua Wolf è tornato libero. Dopo 226 giorni di prigione, il blogger e videoattivista statunitense ha potuto lasciare il carcere di Dublin, in California, nel quale era detenuto per essersi rifiutato di mettere a disposizione dell’autorità giudiziaria il filmato integrale girato durante una manifestazione del 2005 a San Francisco.
In quell’occasione un gruppo di giovanissimi anarchici statunitensi erano scesi in strada per protestare contro il G8 di Gleneagles e la politica di guerra del governo Bush. Nei successivi scontri un’auto della polizia era stata data alle fiamme e un agente ferito. La polizia riteneva, a torto, che il materiale girato da Josh potesse servire alle indagini. La detenzione puniva inoltre il suo rifiuto di testimoniare di fronte al grand jury, la giuria che decide dell’eventuale apertura di un processo.
Il ventiquattrenne ha potuto lasciare il carcere solo dopo un accordo con il procuratore. Wolf ha dovuto concedere il filmato integrale della manifestazione e giurare di non sapere nulla sugli scontri. In cambio non sarà costretto a riconoscere nessuno dei manifestanti e non dovrà testimoniare di fronte al grand jury: «I giornalisti devono assolutamente rimanere indipendenti rispetto alle attività giudiziarie. Altrimenti la gente non si fiderà mai».
Secondo gli avvocati di Josh il primo emendamento della costituzione statunitense garantisce la riservatezza delle fonti e avrebbe dunque conferito al giovane il diritto di rifiutare la richiesta del jury. La stessa legge californiana, inoltre, garantisce la riservatezza delle fonti e del materiale inedito. Non esiste però una legge federale analoga, il che impedisce l’applicazione della legge nelle corti federali.
Per il procuratore generale Josh Wolf – che posta filmati e commenti sul web senza essere assunto da giornali o agenzie – non sarebbe un giornalista ma un attivista politico. Josh il filmato l’aveva però venduto anche a una televisione locale. In un caso simile, la corte d’appello dello stato californiano aveva sentenziato che i bloggers possono essere protetti dalle shield laws (a garanzia della riservatezza di fonti e materiale inedito) quando lavorano alla stregua dei reporter tradizionali. Il caso testimonia di come il problema della tutela delle nuove forme di giornalismo sia oggi ancora aperto. «Non dovrebbe essere il governo a decidere chi è un giornalista e chi no», ha dichiarato Josh Wolf. La sua è stata la detenzione più lunga mai scontata da un giornalista negli Usa. Supera il record nero di Vanessa Leggett, freelance di Houston imprigionata per 168 giorni tra il 2001 e il 2002 per ragioni simili.
Per la liberazione di Joshua Wolf si erano battute anche numerose associazioni per i diritti civili e la libertà di stampa. Secondo la National writers union, che rappresenta e tutela i diritti dei freelance, «l’abuso perpetrato nei confronti di Josh e altri giornalisti è parte di un tentativo del governo di controllare a ogni livello il flusso e il contenuto delle informazioni che raggiungono il pubbico».
Il filmato montato che racconta la manifestazione dura poco più di 5 minuti. «La guerra è il sintomo. Il capitalismo è la malattia», sta scritto su uno striscione. Josh ha filmato tutto, anche quando il clima si è fatto aggressivo, con l’intervento della polizia: si vede un ragazzo a terra, con un poliziotto sopra di lui che lo soffoca. Altri agenti accorrono e minacciano, armi in pugno, le persone che assistono alla scena. Il filmato mostra la faccia violenta e repressiva della polizia di San Francisco e non solo: «Sono un federale, figlio di puttana», urla un uomo in borghese prima di spintonare via un ragazzo.
Il primo commento alla liberazione di Josh sul suo sito (www.joshwolf.net) è dell’amico Charles Liu: «Josh, bello saperti libero. C’è stato un caso simile in Cina con un blogger (e regista indipendente, ndr) di nome Hau Wu. Il suo arresto ha provocato un’ondata di indignazione qui negli Usa. Sai, quando sei stato arrestato 8 mesi fa, non ne ho avuto notizia perché i media non ne hanno parlato e la comunità dei blogger era troppo impegnata ad attaccare la Cina. Spero che il tuo arresto abbia creato un’enorme ondata di sdegno in Cina».