Anche il Nord più ricco produce il «suo» Sud. Lo illustrano con lampante chiarezza gli ultimi dati sulla fame negli Stati uniti, diffusi venerdì scorso dal Dipartimento dell’agricoltura. Nel 2002 circa 12 milioni di famiglie americane (l’11 per cento su un totale di 108 milioni) hanno sperimentato un’angosciante insicurezza alimentare, nel senso di non avere la certezza di poter acquistare abbastanza cibo per sfamarsi. Di queste, 3,8 milioni, (che danno un insieme di 9,4 milioni di persone) la fame l’hanno sperimentata davvero, nel senso che qualcuno all’interno della famiglia è stato costretto a saltare i pasti più di una volta nel corso dell’anno. Il fenomeno è complessivamente in crescita da tre anni consecutivi, ma per quel che riguarda la fame sperimentata e non solo temuta, le percentuali dell’aumento sono rilevanti: 8,6 per cento in più rispetto al 2001, 13 per cento in più se si confrontano i dati del 2002 con quelli del 2000. Anche se il governo Usa si è posto l’obiettivo di abbattere al 6% entro il 2010 la percentuale di famiglie che vivono al limite della sopravvivenza.
La maggior parte dei nuclei familiari che lotta contro la fame nel paese più ricco del mondo cerca di mettere al riparo almeno i bambini, ma non tutte ci riescono, dice il rapporto. Così, in non meno di 256mila famiglie, uno o più bambini l’anno scorso hanno saltato i pasti, per un totale, stima il rapporto, di 567mila che hanno fatto in qualche modo la fame.
I dati diffusi dal Dipartimento dell’Agricoltura si basano su un’indagine condotta dal Census Bureau su un campione di 50mila famiglie, e confermano in pieno, né potrebbe essere altrimenti, il trend di aumento della povertà negli Stati uniti che il Bureau ha registrato nel suo ultimo rapporto di settembre, dove si riferiva che lo scorso anno sono arrivati a 34,6 milioni gli americani che vivono in povertà – un aumento di 1,7 milioni di persone rispetto al 2001.
C’è persino un legame tra la fame e l’obesità dilagante (65% di adulti e 13% di bambini in tutto il paese). Lo ha spiegato all’agenzia Ap Barbara Laraia, professore associato di scienza della nutrizione all’Università del North Carolina-Chapel Hill: molte famiglie acquistano cibi altamente calorici ma poco nutrienti, che servono soprattutto a riempire la pancia.
C’è, come sempre negli Stati uniti, una componente etnica nei profili delle famiglie che maggiormente sperimentano l’insicurezza alimentare: il 22 per cento del totale è costituito da gruppi familiari neri, il 21,7 per cento da quelli ispanici, equivalente al doppio della media nazionale. Lo riferisce il Frac – Food Research and Action Center (www.frac.org), centro di ricerca con base a Washington che ha tra i suoi obiettivi il monitoraggio e il miglioramento delle politiche pubbliche per sradicare la fame e la malnutrizione negli Stati uniti. Sempre il Frac riferisce che gli stati che hanno registrato l’aumento più elevato nei tassi di crescita dell’insicurezza alimentare sono concentrati nel Nordovest e nel Midwest e che Utah, Texas, Mississippi, Arkansas e New Mexico registrano percentuali del 14%, molto al di sopra della media nazionale.
Ma uno sguardo ravvicinato a una situazione come quella di Washington, mostra che anche la dimensione urbana aggrava il fenomeno. A Washigtnon, come scrive The Olympian, giornale locale, più di un milione di famiglie l’anno scorso ha fatto ricorso alle «banche del cibo», ciascuna famiglia servendosene in media cinque volte l’anno (dati dell’Emergency Food Assistance Program, Efa). Secondo Susan Eichrodt, dirigente dell’Efa, il 43% degli «affamati» di Washington sono bambini, mentre il 50% delle persone che si rivolgono alle «banche» lavorano a tempo pieno.