La grana del contratto degli statali è diventata tutta politica. E ieri mattina sono scesi in campo i segretari confederali per «alzare la posta» e il livello del confronto. Ma senza fissare, per ora, la data dello sciopero (metà maggio, indicativamente).
E’ in pratica l’ultimo tentativo di sbloccare una situazione paradossale: governo e sindacati avevano raggiunto pochi giorni fa un accordo per rinnovare il contratto, scaduto 16 mesi fa, sulla base di 101 euro medi, ma a partire dal primo gennaio di quest’anno e con l’erogazione della cifra a gennaio 2008. Contestualmente Cgil, Cisl e Uil avevano condiviso un «memorandum» per la riforma complessiva della pubblica amministrazione, rifiutato però da altre sigle rappresentative nel settore (come la RdB Cub, che ancora ieri ha ribadito la sua contrarietà). Al momento di varare la «direttiva madre» da inviare all’Aran, per aprire la trattativa vera e propria nei vari comparti, si è scoperto che veniva praticamente cancellata la «contrattazione integrativa». Un dettaglio non secondario, perché «è a questo livello che si migliora organizzazione e modo di lavorare»; ma se non è possibile disporre di risorse aggiuntive non si fa più nulla (il «maggior merito» o «la produttività», in qualche modo, vanno riconosciuti anche economicamente).
Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, è sembrato sinceramente sconcertato dall’assenza di logica di una scelta del genere («sembra quasi che tra ministri non si fidino troppo l’uno dell’altro»), chiedendo – per sciogliere il nodo – un intervento diretto di Romano Prodi, non appena sarà rientrato dal Giappone. «Se si protrae la situazione di conflitto anche gli altri tavoli di discussione potrebbero risentirne». Oggi, intanto, proveranno a vedere cosa avranno da dire il ministro della funzione pubblica ed Enrico Letta. Certo che se al tavolo si presenteranno con la posizione espressa nel pomeriggio da Nicolais («c’è un’errata interpretazione di quanto c’è scritto nella direttiva») ci sarà ben poco da discutere.
Durissimi poi sulla «campagna diffamatoria» contro gli statali. «Il sindacato non difende i fannulloni», scandisce Epifani, ma a questo punto il sindacato pretende di verificare in una «sede terza» – il Cnel – «le cifre sull’assenteismo, sulle consulenze, le esternalizzazioni, le medie retributive». Quelle del sindacato sono infatti molto diverse. «Nessuno si sogna di fare la media tra la paga di un metalmeccanico e quella di Marchionne; nel pubblico impiego si fa invece la media tra quel che prende un impiegato, un dirigente, un magistrato o un generale», spiega Paolo Pirani. Ma sono soprattutto le esternalizzazioni e le consulenze a indignare i sindacalisti. «Presenteremo i dati di quanto si spende per dare fuori servizi che costano molto meno se prodotti in casa», ma che hanno fatto la fortuna degli «amici degli amici». La cifra stanziata per il rinnovo del contratto (1 miliardo e 300 milioni) è sinistramente uguale a quella spesa per le consulenze.
Il solitamente pacato Raffaele Bonanni, segretario confederale della Cisl, definisce addirittura «subdolo» il metodo di confronto usato dal governo, che «quando cin incontriamo sembra disponibile, il giorno dopo rimuove tutto». Ma i problemi sul tappeto sono sostanzialmente due: il rapporto con i sindacati («non c’è mai stato un momento così difficile, neppure con il centrodestra»), ma soprattutto con gli statali. Carlo Podda, segretario della Fp Cgil, lo sintetizza così: «stanno convincendo i lavoratori che anche quei pochi soldi non li vogliono dare; c’è ancora qualcuno che prova a far saltare un biennio contrattuale». Come se non fosse più un diritto acquisito.