Nel suo editoriale di venerdì, giorno del discorso di Bush. il New York Times si esprimeva a favore della decisione di usare la forza – purché, affermava, dovutamente calibrata – come se si sapesse chi fossero gli autori ed i mandanti degli attentati. Invece lo stesso quotidiano ammetteva giovedì 20 settembre che “i funzionari della giustizia sembrano possedere deboli prove per ciò che riguarda il collegamento tra il gruppo bin Laden e gli attacchi (terroristici, ndr)”. Questa semplice realtà si connette alla crescente consapevolezza che in Afghanistan non c’è un un governo con una struttura civile per cui, come osserva il Toronto Star del 21 settembre, bombardare la popolazione in Afghanistan non solo non tocca minimamente il potere dei Teleban ma la sottopone ulteriormente al terrorismo che essa ha subito e sta subendo da anni proprio da parte dei Taleban. Le due cose, punire senza avere i colpevoli e comunque far pagare coloro i quali stanno ingiustamente già pagando, hanno riacceso la fiamma del pacifismo in molti settori della società Usa. Il Washington Post di giovedì 20 rilevando la rapidità con cui si sta estendendo il fenomeno, riferisce della formazione di una coalizione raggruppata intorno al Consiglio nazionale delle Chiese il cui l’obiettivo è di opporsi all’azione militare che porterà, dice la dichiarazione, ad un aumento del terrorismo. Per tutta la giornata di giovedì si sono svolte manifestazioni in oltre 150 campus universitari ed altre località. Per il Los Angeles Times (21 settembre) il successo della ripresa pacifista è da ascrivere alla dimensione multietnica del corpo studentesco, alla paura di un ritorno ad una guerra di lunga durata e quindi alla paura del futuro.
Nel movimento contro la guerra stanno confluendo le forze dei no global che si preparavano a manifestare in massa a Washington durante gli incontri del Fondo monetario e della Banca ora sospesi. Il Washington Peace Center coordina la trasformazione di quelle attività in una grande dimostrazione per la pace prevista il 30 settembre. “Non vogliano che la violenza attuata qui (con gli attentati, ndr) venga pepetrata altrove” ha dichiarato al Washington Post Maria Ramos del comitato coordinatore della protesta aggiungendo che è tempo di costruire alleanze basate sulla legge e rafforzare i tribunali internazionali contro il terrorismo cross border (transfrontaliero).
Notevole eco ha avuto la manifestazione-veglia tenutasi a Whethersfield nel Connecticut ove 5000 persone hanno ascoltato le parole dell’infermiera Judy Keane vedova di Richard Keane morto nell’attentato al World Trade Center: “Non voglio che i miei figli vadano in guerra per vendicare la morte del padre”. Al Governatore del Connecticut Judy ha detto inoltre “si sbaglia chi pensa che il terrorismo cesserà perchè bombardiamo l’Afghanistan”. (Hartford Courant, 21 settembre). L’evento di Wethersfield, riportato a livello nazionale, ha avuto forti ripercussioni nella stampa locale. Il servizio dell’Hartford Courant presentava Judy Keane come mossa da un dovere di pace causato dal suo dolore personale. Negli Usa è soprattutto a livello di stampa locale che si consolida o si spezza la linea politica dominante. In tal senso è significativo il fatto che il St Paul Pioneer Press (Minnesota) abbia pubblicato il 18 settembre un articolo di Jonathan Power dal titolo “gli Usa pagano il prezzo dell;arroganza”. L’autore, analista presso la Transnational Foundation di Stoccolma mette in evidenza l’unilateralità della politica estera americana e soprattutto il fatto che dopo il 1967 Washington non abbia sollevato un dito contro l’illlegale azione israeliana di annettere e popolare territori altrui. Osserva quindi Power “assurdamente la politica (israeliana, ndr) continua con un atteggiamento da parte di Washington che gli arabi percepiscono come un tacito consenso”. Questa percezione ha fatto nascere un senso di impotenza e di odio verso l’America in vaste aree del mondo musulmano” Il tema dell’unilateralità, specificatamente quella degli Usa nel conflitto mediorientale, sta occupando uno spazio sempre più ampio nelle spiegazioni del contesto politico degli attentati. Citiamo solo qualche titolo. Sheryl McCarthy su Newsday del 20 settembre, una pubblicazione tutta business e new economy, mostra che lo scontro del male contro il bene è falso e manicheo e fa la conta dei morti, bambini iracheni e morti del World Trade Center, in un articolo “Gli Usa ora pagano gli errori del nostro comportamento”. Sandy Tolan su USA Today del 21 settembre, quotidiano nato all’insegna del reaganismo, scrive un pezzo dal titolo “La disperazione alimenta odio ed estremismo”. Vengono esposti, in maniera più diretta, gli stessi concetti sviluppati in forma accademica da Jonathan Power. Infine il super liberal clintoniano Boston Globe per cui Israele è sacro tanto quanto gli Usa pubblica venerdì 21 sett
embre un articolo di Derrick Jackson che si conclude così; “Fintanto che lo squilibrio (contro i palestinesi, ndr) non viene affrontato l’America continuerà ad inseguire i sintomi non le soluzioni. Nessuno più dubita quanto sia pericoloso il terrorismo islamico. Non avremmo dovuto sperimentarlo in modo così orribile qui a casa nostra se da tempo avessimo condannato il terrorismo israeliano, attuato con armi fatte qui in casa nostra” (“A Call for US to be Fair to Palestinians”, Boston Globe 21 settembre).
Dagli Stati uniti tante ragioni per mobilitarsi rapidamente contro la guerra, tante ragioni per mostrare immediatamente solidarietà di massa con i pacifisti nordamericani.