Che non abbiano visto il suo film non rappresenta alcun impedimento. Che esso abbia vinto la Palma d’Oro a Cannes accelera solo il loro desiderio di rappresaglia. Ken Loach è stato messo in detenzione preventiva e gli stanno strappando le unghie.
Scrivendo su Times, Tim Luckhurst lo paragona – in modo sfavorevole a Leni Riefenstahl. Il suo nuovo film è una “velenosa corruzione anti-britannica della storia dell’indipendenza dell’Irlanda… The Wind that Shakes the Barley non è solo sbagliato. E’ infantile sulla materia e risveglia antiche faide”. Ho fatto un controllo presso la casa produttrice. Il film non è ancora stato distribuito. Non sanno dirmi come abbia fatto Luckhurst ad assistere ad una proiezione. Una sera fa ha detto che non era “preparato a discutere l’argomento”.
Almeno Simon Heffer, scrivendo sul Telegraph, ammette di non sapere di cosa sta parlando. Loach, dice, “odia questo paese, benché gli succhi il sangue, usando fondi pubblici per fare i suoi film repellenti. E no, non l’ho visto, più di quanto io abbia bisogno di leggere il Mein Kampf per sapere che pidocchio era Hitler”. The Sun dice che è “un film brutalmente anti-britannico… che ha lo scopo di trascinare nel fango la reputazione del nostro paese”. Ruth Dudley Edwards nel Daily Mail lo ha definito “propaganda vecchio stile” ed “un miscuglio di mezze verità”. Neanche lei ha visto il film. Né, sembra, lo ha visto Michael Gove, che ha detto ai suoi lettori del Times che esso aiuta a “legittimare le azioni dei gangster”.
Queste persone stanno forse dicendo che gli eventi di cui Loach racconta non sono accaduti? Le rappresaglie da parte del Royal Irish Constabulary e della Auxiliary division sono documentate dagli storici di ogni colore politico. Nel periodo in cui il film è ambientato (1920-1921), i poliziotti visitavano case in posti come Thurles, Cork, Upperchurch e Galway e sparavano e trafiggevano con le baionette i loro indifesi abitanti.
Non c’è storico che neghi che spararono sulla folla o tirarono granate o picchiarono la gente nelle strade o misero a fuoco case e negozi a Dublino, Cork, Limerick, Bantry, Kilmallock, Balbriggan, Miltown Malbay, Lahinch, Ennistymon, Trim ed altre città. Né si può seriamente discutere il fatto che le forze dell’ordine torturarono ed uccisero alcuni dei loro prigionieri.
E’ anche chiaro che alcuni di questi attacchi furono approvati da politici e funzionari di alto rango. Nel Giugno 1920, alla presenza del comandante del Royal Irish Constabulary, il Commissario di Divisione della polizia a Munster (colonnello G. B. Smyth) disse ai suoi uomini “Voi potreste fare sbagli di tanto in tanto e sparare a gente innocente, ma questo non si può evitare… Più sparate, più mi piacerete, e vi assicuro che nessun poliziotto finirà nei guai per aver sparato ad un uomo”. Suggerì che «quando vedete i civili che si avvicinano, gridate “mani in alto! ”. Se l’ordine non fosse immediatamente eseguito, sparate e sparate per colpire. Se le persone che si avvicinano hanno la mani nelle tasche, o vi sembrano sospette in qualche modo, abbattetele». Sir Henry Wilson, il direttore delle operazione al War Office, si lamentò che aveva avvertito il suo ministro – Winston Churchill – che «rappresaglie indiscriminate scateneranno il demonio in Irlanda, ma non mi stava a sentire o non era d’accordo». C’era persino una politica di “rappresaglia ufficiale”: le case delle persone che vivevano vicino alla scena di un agguato e che non avevano avvertito le autorità potevano essere legalmente distrutte.
L’eroe di Loach, Damien, come molti Irlandesi, era diventato un radicale dopo un raid da parte dei Black and Tans, che erano membri delle forze dell’ordine reclutati fuori dall’Irlanda. Lo storico Robert Kee, che è un feroce critico dell’Ira, osserva che mentre la polizia all’inizio era lenta alle rappresaglie, la loro vendetta – esercitata su persone innocenti – “consolidava ancor più lo spirito nazionale in Irlanda. Rendeva il popolo irlandese sempre più solidale con i combattenti”. Il combattente Edward MacLysaght annota che “ciò che probabilmente spinse un uomo pacifico come me alla ribellione fu l’atteggiamento britannico verso di noi: la presunzione che tutti noi eravamo un mucchio di ragazzi di strada assassini”
Non c’è dubbio che anche l’Ira uccideva spietatamente – non solo poliziotti e soldati ma anche persone considerate informatori o collaboratori. Ma Loach mostra anche questo (io ho visto il film). La stampa lo odia perché lui ammette che le persone che hanno commesso questi atti non erano automi malvagi, ma esseri umani capaci di dolore, rabbia, amore, e pietà. Così, naturalmente, erano anche le forze britanniche, la cui umanità è sempre enfatizzata dai giornali. Il crimine di Ken è di aver raccontato l’altra parte della storia.
L’altra parte – che riguardi l’Irlanda, l’India, o la Malesia – è sempre inammissibile. La tortura e l’uccisione dei colonizzati è ignorata o scusata, mentre le loro violente reazioni all’occupazione non sono mai dimenticate. I soli aggressori di cui si può fare menzione sono quelli che reagiscono.
Ha qualche importanza ciò che la gente dice di una guerra avvenuta 85 anni fa? Ce l’ha. Perché la stessa storia a senso unico viene ora raccontata per l’occupazione dell’Iraq. L’esecuzione di 24 civili ad Hadita presumibilmente compiuta da Marine Usa a novembre viene discussa come una sgradevole anomalia: il lavoro di un po’ di “mele marce” o di “canaglie”. Donald Rumsfeld afferma «noi sappiamo che il 99,9% dei nostri uomini si comportano in maniera esemplare», e la maggior parte della stampa sembra essere d’accordo. Ma se decidesse di andare a fondo, troverebbe le prove di molti di questi massacri.
A Marzo Jody Casey, un veterano della guerra in Iraq, ha detto a Newsnight che quando gli insorti tirano una bomba, «tu semplicemente annichilisci ogni contadino che ti si trova vicino… quando siamo arrivati lì, tu potevi uccidere chi ti pareva, punto e basta». Domenica un altro veterano ha detto all’Observer che le uccisioni a sangue freddo da parte degli americani sono «diffuse. Questa è la regola, non si tratta di eccezioni». Ci sono montagne di prove a suggerire che i soldati americani hanno legato ed ucciso 11 persone – anche questa volta comprendendo bambini – ad Ishaqi a Marzo. Ufficiali iracheni dicono che i soldati Usa hanno eliminato due donne ed una persona mentalmente handicappata in una casa a Samarra lo scorso mese. Nel 2004, si dice che forze Usa hanno bombardato una festa di matrimonio a Makr al-Deeb e dopo hanno sparato ai sopravvissuti, uccidendo 42 persone. Nessuno ha un’idea di cosa è accaduto a Fallujah, dato che la distruzione della città e degli abitanti rimasti fu così completa. Persino il Primo Ministro, che dipende dai soldati della coalizione per la sua protezione, si è lamentato la scorsa settimana che gli attacchi sui civili sono «un fatto regolare… Li schiacciano con i loro veicoli e li uccidono su un semplice sospetto». Ma come i Black and Tans i soldati Usa non temono troppo inchieste e punizioni.
Perché dovremmo essere sorpresi da questi eventi? Questo è quello che accade quando un paese ne occupa un altro. Quando i soldati sono lontani da casa, esercitano il potere su persone che non capiscono, sapendo che la popolazione protegge quelli che li ucciderebbero se potessero, la loro rabbia, paura e frustrazione diventa odio per tutti i “micks”, i “gooks” o gli “hajjis”. Le occupazioni rendono brutali sia gli occupanti che gli occupati. E’ il nostro rifiuto ad apprendere la lezione che permette nuove avventure coloniali. Se ne sapessimo di più sull’Irlanda, l’invasione dell’Iraq non ci sarebbe mai stata.