Srebrenica, dieci anni dopo

Srebrenica e, alla periferia, Potocari ieri erano l’immagine dolorosa di quella nuova Europa che per lungo tempo si è voluta tenere nascosta. Un’Europa e un Occidente colpevoli. Se «siamo in guerra», varrebbe la pena datarla a partire dal disastro dell’ex Jugoslavia. Ma senza raffronti con il terrore che in questi giorni ha seminato morte a Londra – un azzardo che non ci è stato risparmiato né da la Repubblica né dal Corriere della Sera, che pure plaudono alla sinistra finalmente matura di fronte alle misure restrittive della libertà, alla caccia alle cellule «islamiche» e al Medio Oriente salvato da Sharon. Soprattutto varrebbe la pena che il groviglio di menzogne e silenzi che continua anche in questi giorni, a dieci anni dal massacro di Srebrenica e da quelli della Bosnia Erzegovina, avesse invece termine e consentisse finalmente la sola giustizia degna di questo nome: quella, condivisa da tutti i protagonisti, di chi assume le responsabilità e le pene e riconosce il male fatto, costruendo così una memoria piena di futuro.

L’esempio del Sudafrica

C’è nella storia un esempio di questa possibilità positiva: il dimenticato Sudafrica. Dopo 50 anni di crimini dell’apartheid, a fine anni Novanta una commissione congiunta di giustizia ha lavorato per anni per denunciare e in qualche caso arrestare tutti i criminali. Tutti, compresi quelli che avevano usato la violenza per liberare milioni di esseri umani da una oppressione razzista. Alla Bosnia Erzegovina – e alle guerre balcaniche tutte – questo invece non è concesso. A tutti i costi si vuole ripetere non solo che lì c’erano buoni e cattivi, ma anche che i crimini sono stati tutti di una parte e le vittime tutte dell’altra. Il problema, invece, non è «tutti colpevoli, nessun colpevole», ma «tutti i colpevoli». Quale aiuto stanno dando quelli che alimentano questa storia distorta, se non quello di incitare a commettere in futuro ulteriori crimini, visto che la giustizia è quella dei vincitori e la «verità» quella dei pacificatori violenti? Giacché a Srebrenica, nella Bosnia Erzegovina e prima, in Slovenia e in Croazia, quel che è stato versato è sangue d’Europa. Sangue del quale l’Europa, con i suoi governi e le sue Unioni mancate, porta la responsabilità insieme agli Stati uniti.

L’Unione europea si chiamava ancora Cee e Maastricht era un paesetto dal nome impronunciabile, quando tutti i governi europei decisero a fine 1991 che, di fronte al precipitare dell’Urss e alla crisi dell’est, Jugoslavia compresa, l’Unione europea non avrebbe dovuto riconoscere stati che si fossero proclamati indipendenti sulla base della violenza, in modo unilaterale e antidemocratico, nel disprezzo delle minoranze. Solo venti giorni dopo questa storica decisione, il Vaticano (con gesto, ahimé, «non cristiano») e la Germania, seguiti a ruota da tutti gli altri governi, riconobbero l’indipendenza di Slovenia e Croazia, che si erano proclamate «stato» sulla base dei principi etnici della «slovenicità» e della «croaticità». Cosa sarebbe accaduto in Bosnia Erzegovina, cuore della Jugoslavia multietnica, dove tutte le entità e le religioni erano comprese, era facile immaginare.

Ecco il primo crimine d’Europa. Perché intanto esisteva ancora la Federazione jugoslava, con un suo esercito, le sue frontiere – quelle esterne all’improvviso venivano cancellate mentre quelle amministrative interne diventavano confini tra stati -, un suo governo che correva disperato nelle sedi internazionali (Onu, Usa, Cee), per salvare l’unità del paese. Che invece l’Europa e gli Stati uniti aiutavano a dilaniare, dopo aver finanziato e armato ovunque non partiti democratici, ma forze ipernazionaliste, come in Croazia. Il nazionalismo estremista, certo, era preesisteva, ma non avrebbe preso il potere, smembrando la Jugoslavia, senza questo decisivo contributo esterno. Senza questi riconoscimenti da parte dell’Occidente, la guerra etnica nell’ex Jugoslavia non sarebbe stata possibile. C’è qualcuno che pensa che siamo innocenti di fronte a questo crimine e che le colpe siano solo delle milizie nazionaliste, serbe, croate e musulmane? Perché l’Unione europea non tentò la strada, giusta e democratica di pretendere, come condizione proprio per l’ingresso in Europa, il mantenimento a tutti i costi dell’unità della Federazione jugoslava, così bandendo e non riconoscendo etnicismi e violenze?

Non lo fece, e scaricò poi il disastro della guerra nelle mani delle Nazioni unite. Game over: era fatto il gioco di dimostrare che l’Onu era incapace di gestire quell’abisso irresponsabilmente aperto. Tanto che la Nato arrivò a metter piede, per la prima volta, fuori dai suoi confini istituzionali e, soprattutto, ad esautorare l’autorità delle Nazioni unite. La Nato strumento di parte: bombardò la pulizia etnica dei serbi contro i musulmani, armò e aiutò in Krajna quella dei croati contro i serbi.

Il clima è cambiato

Così Srbrenica piange i suoi otto mila morti musulmani, piange i suoi 610 corpi ritrovati. Altre migliaia giacciono nel mausoleo a Potocari, altre migliaia di corpi a Tuzla aspettano il riconoscimento. I criminali responsabili di questa strage, Ratko Mladic e il mentore politico Radovan Karadzic, non sono stati mai arrestati. La loro cattura era data quasi per certa nell’anniversario del decennale. Ma così non è stato. Al punto che il procuratore dell’Aja Carla Del Ponte non era presente ieri alla cerimonia. Dove però, per la prima volta, è arrivato il presidente serbo Boris Tadic, non senza la rabbia delle donne musulmane di Srbrenica che lo accusano di appartenere ad uno stato che non riconosce la strage e nasconde i due principali criminali. Ma non è così. Il governo serbo guidato da Vojslav Kostunica ha fatto affiggere gigantografie in tutta Belgrado per invitare i cittadini a non dimenticare Srebrenica. La Serbia-Montenegro e la stessa Repubblica Serba di Bosnia hanno avviato l’arresto di molti miliziani che parteciparono all’eccidio di dieci anni fa, dopo un video apparso nelle tv serbe che mostrava alcuni miliziani uccidere a sangue freddo sei musulmani-bosniaci. Il clima senza speranza e livido di odio, diffidenza, rancore e vendetta, dunque, nonostante un attentato sventato in zona all’ultimo momento, stavolta è fortunatamente diverso. Ma certo non è aiutato dai tentativi di indirizzare la memoria tutta contro una parte – recentemente Adriano Sofri si è augurato che il sangue del video mostrato in Serbia sgocciolasse dappertutto. Perché la verità ormai, anche per il Tribunale dell’Aja, dice cose ben più dolorose per chi solo volesse davvero arrivare ad una giustizia condivisa. Tanto è vero che da un anno ormai è agli arresti all’Aja Naser Oric, il comandante musulmano di Srbrenica che guidò le milizie del presidente Izetbegovic e i mujaheddin arabi e afghani per tre anni in tutta la zona.

Cosa ci racconta questo arresto? Non certo – come sostengono ancora gli estremisti nazionalisti serbi – che era pronto dal 1995 l’attacco all’Occidente che vediamo dispiegarsi in questo periodo. Ma che, nella guerra di supremazia etnica e religiosa, i musulmani di Bosnia non furono da meno delle milizie serbe e di quelle croate in stragi, crimini, deportazioni e torture. Aiutati anche da brigate di mujaheddin arrivate in Bosnia dal Medio Oriente e da Kabul, per combattere a fianco dei correligionari, per intercessione dell’Arabia saudita e degli stessi Stati uniti che, per altro, li avevano già utilizzati in Afghanistan prima contro i russi poi a favore dei talebani. La Bosnia fu questo «snodo» voluto dall’Occidente, come dimostrò una commissione d’inchiesta del senato Usa, che chiamò Bill Clinton a risponderne già nel 1996. E come dimostra l’incriminazione all’Aja del generale musulmano Rasim Delic, responsabile militare della difesa di Sarajevo.

Oggi toccherà ai serbi

Così, a ridosso del decennale della strage, i giornali di Belgrado hanno pubblicato la lista di 3.287 civili serbi uccisi a Srbrenica e dintorni prima del massacro dell’11 luglio 1995. Tanto che oggi, 12 luglio, presso la vicina Bratunac si svolgerà la commemorazione da parte dei familiari dei serbi uccisi.

Srebrenica è stato un carnaio. L’incontro dei familiari di tutte le vittime resta ancora impossibile. Ma non quello dei giovani dell’una e dell’altra etnia. Per dare un futuro alla loro memoria dovremmo riconoscere le nostre responsabilità nell’avere alimentato la guerra etnica e religiosa, nell’aver parteggiato con i «buoni» contro i «cattivi». Senza vedere invece che le vittime civili erano tutte eguali. E che quel sangue parlava di noi.