Srbrenica, il valore della sentenza serba

Per troppi anni, nessuno ha voluto credere all’esistenza dell’eccidio di Srbrenica, quando nel luglio 1995, milizie armate serbe uccisero 7mila musulmani. Stavolta nessuno in Serbia ha potuto guardare dall’altra parte. All’inizio di questa settimana, in un’aula di Belgrado un giudice serbo ha letto i nomi di quattro «Scorpioni», per condannarli a 20 anni di galera sulla base di un video poi ripreso dalle tv serbe, che mostra l’uccisione di sei ragazzi musulmani prelevati dall’enclave che doveva essere protetta dall’Onu. Perdipiù in aula, scortati da agenti serbi, ad ascoltare la sentenza le famiglie musulmano-bosniache. Per la prima volta la Serbia fa i conti con l’infamia di Srbrenica.
Ma non era la prima volta che venivano condannati miliziani per uccisioni di civili in Bosnia Erzegovina. Realtà sempre divisa nei tre tronconi della «pace» di Dayton, tra il governo musulmano di Sarajevo, le tensioni separatiste dei croati dell’Herceg Bosna e la nuova fisionomia della Repubblica dei serbi di Bosnia che ora, all’improvviso, da Sarajevo vogliono abolire perché «erede degli eccidi contro i musulmano-bosniaci». Ora la sentenza di Belgrado impegna al rispetto della memoria dei crimini anche i serbi di Bosnia. Ma allo stesso tempo costruisce un nuovo legame che, intanto, ne difende l’esistenza autonoma e la memoria. Anche i serbi di Bosnia hanno infatti richieste di giustizia inevase, anche dall’Aja. Hanno un elenco di più di 4.500 vittime civili assassinate dalle milizie musulmano-bosniache nell’area Bratunac-Srbrenica – con responsabilità del capo della difesa di Srbrenica, Naser Oric -, molte altre uccise e desaparecidos a Sarajevo città. Non c’è mai stato un processo bosniaco-musulmano per queste vittime, nonostante coraggiose denunce giornalistiche di settimanali indipendenti di Sarajevo.
Inoltre, solo due mesi fa il tribunale di Belgrado ha per la terza volta condannato miliziani serbi per l’uccisione di albanesi del Kosovo durante la repressione della lotta armata innescata dall’Uck dal 1996. È proprio il Kosovo a richiamare l’altro decisivo valore della sentenza di Belgrado. La leadership democratica serba protagonista della cacciata di Milosevic – l’ex premier Vojslav Kostunica e ora il presidente Boris Tadic – manda a dire alle pressioni del «mediatore» Onu Martti Ahtisaari o dell’Ue, che nessun condizionamento sui casi dei super-ricercati Ratko Mladic e Radovan Karadzic, può ricattare la giustizia serba intenzionata davvero ad andare fino in fondo. Belgrado, come del resto la Nato e il Tribunale dell’Aja, non è in grado di sapere dove sono né, per ora di arrestarli. D’ora in poi non sarà la mancata giustizia sulla guerra interetnica in Bosnia a condizionare per imporre alla Serbia un’altra, inaccettabile indipendenza etnica, quella del Kosovo.