Squadroni della morte in Iraq, regia di Cheney

A proporre il «modello Salvador» fu il vice di Bush. Ora il Pentagono prepara il piano contro i ribelli

WASHINGTON Il Pentagono non smentisce. Suscita perfino qualche commento favorevole l’«Opzione Salvador», un piano per organizzare in Iraq squadroni della morte simili a quelli che insanguinarono l’America Latina negli anni 80. «In questo modo avremmo uno strumento in più per la guerra al terrorismo», ha dichiarato uno dei generali in pensione consultati come esperti dalla Nbc.
I particolari del piano sono stati rivelati da Newsweek, ma l’idea di ispirarsi al Salvador come modello per il nuovo Iraq era stata lanciata pubblicamente dal vice presidente Dick Cheney. Secondo Newsweek, il Pentagono sta pensando di addestrare squadre di curdi e di sciiti in Iraq per rapire o uccidere i capi dei ribelli che combattono contro le truppe americane.
Uno degli autori del piano ha spiegato a Newsweek che l’obiettivo è dissuadere con il terrore la popolazione dalla collaborazione con gli insorti. «La popolazione sunnita – ha sostenuto – non paga alcun prezzo per l’aiuto che fornisce ai terroristi. È tempo di cambiare i termini dell’equazione». Gli squadroni della morte verrebbero anche mandati ad uccidere i ribelli esuli in Siria.
«Non facciamo mai dichiarazioni su operazioni in corso o in preparazione», ha replicato una portavoce del Pentagono alla richiesta di un commento sull’articolo di Newsweek. Un generale a quattro stelle in pensione, Gary Luck, arriverà questa settimana in Iraq. È stato incaricato dal ministro della difesa Donald Rumsfeld di suggerire una revisione completa della strategia militare. «Dobbiamo trovare il modo – ha indicato una fonte di Newsweek – di passare all’offensiva contro i ribelli. Finora siamo rimasti sulla difensiva e stiamo perdendo».
L’idea degli squadroni della morte sarebbe stata accettata dal primo ministro iracheno Iyad Allawi. Gli squadroni sarebbero formati da milizie locali addestrate dagli americani, come avveniva in Salvador negli anni 80. John Negroponte, attuale ambasciatore americano a Baghdad, ha avuto un posto di prima fila per osservare la guerriglia in Salvador come ambasciatore in Hounduras dal 1981 al 1985. In quegli anni gli istruttori del presidente Reagan assistevano il governo del Salvador nell’eliminazione dei ribelli. La rivolta venne stroncata e i conservatori americani considerano l’operazione un successo, nonostante la morte di migliaia di civili. Prima che la sua nomina come ambasciatore in Iraq venisse ratificata Negroponte è stato interrogato dal Senato sul ruolo dell’ambasciata americana in Honduras e ha negato l’esistenza di squadroni della morte con la stessa ostinazione di quei politici italiani che negano l’esistenza della mafia.
Il Salvador è l’unica nazione dell’America Latina che abbia truppe in Iraq. In novembre il ministro della difesa Donald Rumsfeld, in visita a una base militare a nord di Baghdad, ha elogiato gli alleati. «Il governo del Salvador – ha sostenuto – sa che si deve lottare per la libertà e la democrazia». Sin da ottobre, il vice presidente Cheney aveva proposto il Salvador come modello per la ricostruzione in Iraq. Nel dibattito con il candidato democratico per la vicepresidenza John Edwards aveva affermato: «Nel Salvador, gli insorti controllavano un terzo del paese e 75 mila persone sono morte. Abbiamo tenuto libere elezioni, e io sono stato presente come osservatore del Congresso americano. I terroristi sparavano contro i seggi e gli elettori tornavano per votare. Oggi nel Salvador si sta meglio perché ci sono state le elezioni».
L’esempio viene citato per sostenere la necessità di votare in Iraq a fine gennaio malgrado la mancanza di sicurezza, ma la storia che racconta Cheney non è quella vera. Una commissione d’inchiesta dell’Onu nel 1993 ha accertato che il 90 per cento delle atrocità nel Salvador fu commesso dalle squadracce del regime, finanziato dagli Stati Uniti con 6 miliardi di dollari. La rivolta venne soffocata nel sangue. La maggior parte dei politici dissidenti venne assassinata. Nel 1984 il regime, senza più opposizione, organizzò elezioni dal risultato scontato per ottenere una patente di democrazia dagli Stati Uniti. Forse è quello lo scenario che l’amministrazione Bush vorrebbe replicare in Iraq.