Spiragli sunniti sulla Costituzione, Al Sadr guida il fronte sciita per il «no»

Manifestazioni nelle città dove vive la minoranza che chiede modifiche: federalismo, identità araba e Baas

Il presidente George Bush insiste nel definire il varo (senza votazione) della nuova Costituzione irachena come un fatto storico, dichiarando addirittura che il mondo deve esserne «orgoglioso»; e questo nonostante le critiche a quel testo arrivino a pioggia, anche da interlocutori autorevoli come il segretario generale della Lega araba Amr Mussa, e nonostante la prospettiva che il referendum del 15 ottobre abbia esito negativo nelle province sunnite (e forse non solo, dato che non tutti gli sciiti sono poi così esultanti).
Ciascuno naturalmente si consola come può e Bush loda il topolino, o piuttosto il mostriciattolo, partorito a Baghdad guardando soprattutto alle crescenti difficoltà che incontra in casa sua; vi è certamente un tocco di ironia nel fatto che il capo della Casa Bianca debba mostrarsi tanto entusiasta di una Costituzione che pone la sharia islamica quale cardine della legislazione nell’Iraq di domani. In verità è una contraddizione non nuova. Con la solerte opera dell’ambasciatore itinerante Zalmay Khalilzad, anche nell’Afghanistan del dopo-talebani si è spacciata per democratica una Costituzione quasi altrettanto islamica della precedente (e del resto erano stati ad esempio proprio i mujaheddin alleati di Washington a imporre per primi l’uso del burqa); ma si sa, per Bush e soci quello che conta non sono solo le etichette dispensate a basso costo, ma il controllo diretto – militare, politico ed economico – del Medio Oriente, e per questo fine tutti i mezzi sono buoni.

A Baghdad comunque il vento che tira va in tutt’altra direzione. Lo ha confessato involontariamente lo stesso presidente provvisorio, il curdo Jalal Talabani, che da un lato ha esortato gli iracheni a votare nel referendum del 15 ottobre e ad approvare il testo proposto, ma dall’altro ha detto candidamente che «se loro (i sunniti ndr) parteciperanno alle votazioni, allora la Costituzione probabilmente sarà bocciata e si dovranno svolgere nuove elezioni per creare una nuova commissione costituente». Una tela di Penelope insomma. E’ noto infatti che se in tre delle diciotto province irachene i due terzi degli elettori diranno «no» alla Costituzione, questa sarà nulla e non valida; e i sunniti di province ne controllano quattro, quelle del Triangolo centrale.

Certo per Talebani l’ideale sarebbe che accada ciò che non hanno avuto il coraggio di fare nemmeno nella cosiddetta Assemblea nazionale, cioè che votino solo curdi e sciiti, possibilmente anzi gli sciiti “buoni” e non quelli come Moqtada al Sadr che condividono le critiche dei sunniti. Ma non hanno osato farlo nemmeno in parlamento, dove la Costituzione è stata solo firmata e messa agli atti.

E del resto quanto conti quel parlamento lo si è visto ieri, quando è stata presentata una legge che dichiarava decaduti i deputati assenteisti; ebbene, 74 deputati hanno votato a favore e 71 contro ma ben 130 erano, manco a dirlo, assenti; il che ha indotto il vice-presidente dell’Assemblea Shahristani a decidere sconsolatamente di sospendere la delibera. Come esempio di funzionanalità democratica non c’è male.

Tornando alla Costituzione, ieri era sembrato aprirsi uno spiraglio quando Tareq al Hashemi, portavoce del Partito islamico dell’Iraq – che è uno dei più importanti partiti sunniti di tendenza moderata – ha detto che c’è tempo fino al 15 ottobre per trovare un accordo e ricevere il voto favorevole degli elettori sunniti; ma subito dopo ha ribadito che ciò potrà avvenire solo se verranno accolte le obiezioni al testo curdo-sciita.

La principale obiezione resta quella struttura federale del “nuovo” Iraq, che il testo lascia nella massima indeterminatezza, ma che i sunniti vedono come un incoraggiamento al separatismo curdo e, quindi, come una minaccia alla integrità territoriale del Paese. Una seconda obiezione è che nell’articolo uno della Costituzione manca l’affermazione che l’Iraq è «un Paese arabo», anche se ha al suo interno minoranze non arabe come i curdi e i turcomanni (ma, appunto, minoranze). Infine il bando al partito Baas, che è una forza politica di solida tradizione, radicato non solo in Iraq, ma anche in Siria e in altri Paesi arabi e che non è identificabile in toto con l’apparato che lo ha gestito sotto Saddam (tanto è vero che in extremis nel testo la generica espressione «partito Baas» è stata sostituita con le parole «il Baas saddamista e i suoi simboli»).

Non c’è insomma da parte dei sunniti soltanto la preoccupazione di essere estromessi dal potere che avevano gestito con Saddam ed anche con i regimi precedenti, ma anche e soprattutto la volontà di non cancellare quella “identità irachena” che nei decenni dall’indipendenza in poi si era comunque affermata e consolidata.

Su questo i sunniti hanno il pieno assenso del segretario della Lega araba Mussa, il quale ha detto di «condividere le preoccupazioni di molti iracheni sulla mancanza di consenso alla Costituzione», ha criticato il fatto che il testo proposto neghi la «identità araba» dell’Iraq ed ha concluso: «Io non credo in questo divisione fra sciiti e sunniti, fra musulmani e cristiani, fra arabi e curdi; non la accetto ed anzi vedo in essa una ricetta per il caos e forse per una catastrofe per l’Iraq e i suoi dintorni». Una conferma indiretta viene proprio dalle vie e dalle piazze dell’Iraq: mentre l’Assemblea nazionale recitava la sua sceneggiata nel ridotto assediato della “zona verde”, a Baghdad si svolgevano manifestazioni di segno opposto, a Tikrit (città natale di Saddam) migliaia di manifestanti protestavano contro «la Costituzione sionista-americano-iraniana» inalberando anche ritratti del deposito raìs e dal sud il leader sciita radicale Moqtada al Sadr lanciava per venerdì l’appello a una grande «marcia per la pace» in chiave anti-americana.