Spari Usa sui carabinieri a Bagdad

ROMA – Un proiettile contro il parabrezza di una jeep dei carabinieri. Ancora fuoco amico di americani contro italiani, partito sulla strada più a rischio di Bagdad, quella che porta all´aeroporto e lungo la quale il 4 marzo scorso fu ucciso il funzionario del Sismi Nicola Calipari mentre portava in salvo Giuliana Sgrena. L´incidente è avvenuto venerdì scorso e non ci sono stati morti o ferito solo perché i nostri uomini erano su un mezzo blindato.
I militari italiani sono rimasti illesi. Tornavano dall´aeroporto, dove erano andati a prendere una persona. Rientravano in città con una jeep dell´ambasciata italiana, ben riconoscibile grazie alle bandierine posizionate ai lati della vettura. Sicuri di essere riconosciuti, andavano ad una velocità forse eccessiva per la “Irish Route”, i dodici chilometri di strada più pericolosi di Bagdad. La dinamica dell´incidente non è ancora chiarissima, ma le scuse che gli americani hanno presentato sabato al nostro ambasciatore sono eloquenti. Sembra che un soldato abbia sbagliato, sparando troppo presto il colpo di avvertimento.
I marines hanno invitato una serie di macchine a mantenere l´accodamento dietro una colonna di mezzi Usa, ad andare adagio. I carabinieri, dopo aver fatto una segnalazione ai colleghi Usa, hanno tentato di superare un blindato. Ma dall´ultimo veicolo è partito un colpo, esploso da un militare insospettito dai movimenti della macchina italiana. Un colpo sparato ad altezza d´uomo, ma per fortuna il vetro blindato ha tenuto.
Il proiettile ha colpito il parabrezza, i carabinieri avrebbero urlato «siamo italiani» e si sarebbero riparati piegandosi verso il basso. La sparatoria non ha avuto conseguenze. Nessun graffio per i nostri soldati, che sono scesi dalla vettura e si sono spiegati con i colleghi americani. Si è sfiorata la tragedia, ma l´incidente rischia un altro caso con gli Stati Uniti.
L´autostrada che dal centro di Bagdad raggiunge l´aeroporto è considerata la più pericolosa di tutto l´Iraq. Circondata da boschetti di palme, da ville sontuose un tempo abitate dagli alti quadri del regime di Saddam, è attraversata da decine di cavalcavia. E´ da questi punti strategici che le vedette segnalano con i cellulari l´arrivo dei convogli statunitensi o i grandi Tir con il vettovagliamento per le truppe. Per almeno tre chilometri la strada costeggia un popoloso quartiere sunnita dove abitano ancora adesso molti ufficiali del disciolto esercito del rais. E´ da queste case, costruite quasi l´una sull´altra in una ragnatela di viottoli e cunicoli, che i mujaheddin lanciano i loro assalti con razzi, colpi di mortaio e raffiche di kalashinkov. Gli americani hanno cercato di eliminare ogni riparo che potesse aiutare gli insorti a nascondersi. Hanno abbattuto tutte le palme che ornavano lo spartitraffico centrale, come i boschetti che sorgevano sui lati. Ma è stato tutto inutile. Con il tempo e grazie agli esplosivi dell´ex esercito iracheno, i ribelli hanno affinato le loro tecniche: oggi ricorrono più spesso alle roadside bomb, ordigni piazzati sotto l´asfalto di notte. Esplodono con precisione e fanno danni devastanti. Gli Usa hanno piazzato decine di posti di blocco. Ma la paura è ancora più pericolosa. Centinaia di iracheni percorrono a tutta velocità quella strada per non essere coinvolti negli attacchi o nell´esplosione della autobomba. I militari piazzati ai check-point sono in uno stato di stress continuo. Fino a un mese fa la maggior parte erano dei riservisti, con poca esperienza e poco autocontrollo. Si dice che negli uffici giudiziari giacciono duemila denunce con richieste di risarcimenti da parte dei familiari delle vittime del fuoco amico. Nicola Calipari, alto dirigente del Sismi, pagò con la vita l´ennesimo errore dei militari Usa ancora tutto da chiarire. Su quella stessa autostrada dove adesso una stele ricorda il suo sacrificio.