Spagna repubblicana. L’omaggio delle spie

E se provassimo a fare del mondo delle spie una fonte di storia sociale, oltre che via d’accesso ai segreti e ai delitti del potere? In fondo è quello che ha fatto la Fondazione Nenni a Roma con la sua bella mostra Spagna 1936-1939, a cura di Gianna Granati, inaugurata ieri nella Capitale a Palazzo Valentini, alla presenza di Franco Marini, Presidente del Senato, di Gasbarra, Presidente della Provincia e dell’ambasciatore di Spagna José Luz Dicente.
E infatti, nonché cartografia della guerra civile iberica, la mostra documenta come e quanto la rete spionistica fascista avvolgesse e accompagnasse indistricabilmente l’intervento italiano accanto a Franco e alla sua sedizione. Una rete che non solo infiltrava ai massimi livelli del nemico i suoi uomini, ma restituiva a Roma la profondità dell’impegno antifascista italiano. La sua forza, il suo consenso in patria, e persino gli atti di eroismo dei garibaldini, accorsi in soccorso del Fronte popolare. E il tutto tramite informative ad hoc dai fronti di battaglia, e anche attraverso le lettere intercettate tra le due rive del Mediterraneo. Ad esempio, apprendiamo dalle missive catturate, che ai molti «volontari» fascisti era stata nascosta la meta del loro arruolamento, spacciata per viaggi nelle colonie prima di rivelarsi come fronte di una guerra civile. Oppure conosciamo le diserzioni di fascisti che scoprono in Spagna gli italiani come «fratelli» e defezionano. Oppure ancora veniamo a conoscenza degli agenti infiltrati accanto a Carlo Rosselli, come Enrico Brichetti, fiduciario dell’Ovra. Sicché la mostra si rivela preziosissima, proprio per intendere le mire strategiche del regime in Spagna. Ovvero precostituirsi un alleato sul fronte occidentale, per fascistizzare il Mediterraneo e dividersi imperialmente l’Europa con la Germania. Contro Francia e Inghilterra e contro una Spagna democratica: quella uscita dalle elezioni del 1936. Altro dettaglio, che è ben più di una curiosità: gli elenchi dei morti repubblicani stesi dai fiduciari fascisti. Da uno di essi salta fuori ancora il nome di Rosselli. Così: «Fondatore di Giustizia e libertà, assassinato dai fascisti l’11 giugno 1937 insieme al fratello Nello». È la prova indiretta, dalla Spagna, che l’omicidio fu voluto dal regime, quel regime che sempre ha negato quella colpa, attribuendola a faide tra gli antifascisti. E c’è di mezzo quel Ciano, che all’inizio finge con Mussolini di aderire al «non-intervento» del 1936, linea da concordare con le potenze europe e che invece solo Francia e Gran Bretagna osserveranno. Condannando così la repubblica Spagnola all’isolamento, all’intervento risolutivo di Germania e Italia, e obbligandola a far ricorso a Stalin, che dal suo canto mandò consiglieri e armi (pagate regolarmente) ma non truppe, e solo fino ad un certo periodo (non più quando nel 1938 la situazione apparve compromessa).
Insomma tante cose da vedere e da imparare in questa mostra, tra foto, materiale inedito e schede riassuntive, a disposizione del pubblico fino al 15 dicembre. E ieri l’hanno visitata Marini e Gasbarra, oltre alla medaglia d’oro Giuliano Vassalli, insigne giurista e partigiano socialista. E i loro brevi discorsi sono stati una piccola sintesi del senso dell’iniziativa. Gasbarra ha ricordato l’esempio spagnolo come testimonianza dell’indifferenza davanti al soffocamento della democrazia. E Marini ha evocato la «memoria e la storia come veicoli di partecipazione alla vicenda collettiva d’Europa, in tempi dominati dal “nuovismo” che travolge i punti fermi delle tradizioni politiche democratiche». Accenti simili anche nell’apprezzamento alla mostra inviato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che nel riferirsi alla Spagna del 1936 parla di Nenni «come sicuro punto di riferimento per tutti i democratici». Accanto a uomini come «Togliatti, Pacciardi, Valiani, Di Vittorio, Rosselli, Orwell, Hemingway». Tutti uniti dalla «speranza di salvare la giovane democrazia spagnola dal franchismo e dall’indifferenza delle democrazie occidentali». Anche il Ministro degli Esteri Massimo D’Alema elogia la mostra e si duole di non poter intervenire, perché a Mosca. E scrive che essa «darà modo di conoscere meglio quel complesso e drammatico periodo e sottolineare il contributo dei volontari italiani per la difesa della repubblica e il loro sacrificio». Messaggi importanti, perché segnano il reingresso ufficiale della guerra di Spagna nella memoria delle istituzioni repubblicane. In una fase in cui tutta la tradizione antifascista, a partire dalla Resistenza, è a rischio di eutanasia, dolce o spicciativa a seconda dei casi. A rischio di venire archiviata nel segno dei «totalitarismi del Novecento» e giudicata degna di estinguersi tra le anticaglie ideologiche del secolo. E invece proprio la Spagna racchiude tante lezioni. Ad esempio le sue aspre divisioni, anche dentro il Fronte popolare, suggerirono un’unità democratica e non massimalista all’antifascismo a venire. E proprio in Spagna Togliatti legge in chiave originale e nazionale la tattica dei Fronti Popolari. Quella spagnola infine fu la prima vera democrazia mediterranea avanzata, sociale. Riscoperta oggi in pieno da Zapatero. Senza patti dell’oblio, né reticenze sugli errori. E però con forte gratitudine verso quei repubblicani sconfitti dall’indifferenza d’Europa.